Vecchio Post: Interpol in concerto a Ferrara

Forse è stato il fornaio, dopo avere messo a cuocere i filoni di pane, con il naso fuori dalla panetteria per fumarsi una sigaretta. Oppure il portiere di notte dell’albergo Annunziata con l’affaccio direttamente sulla piazza. Qualcuno ci avrà pur pensato a staccarla di lassù, tra il primo e il secondo ordine di finestre del bel palazzo rinascimentale sul lato opposto al castello estense di Piazza Castello a Ferrara. Quell’ombra già vecchia di una sera, scontornata e sciolta nella luce del mattino che s’appoggia sull’acqua verde del fossato. L’ombra appartiene a Paul Banks, cantante e chitarrista dei newyorchesi Interpol: un faro, per pura casualità o per via di un effetto studiato con cura, ne ha ripetutamente proiettato (ingigantito) l’immagine (ombra) sul palazzo alla destra del palco per buona parte della serata. Poi, se tutto va bene, la settimana prossima saranno Rembrandt e Vermeer, i canali e le case con il frontone, le kerk e le huis, il lumen di cui dice la Alpers a proposito dei pittori del Nord, ma questa sera è per quell’ombra che siamo qui, io e qualche migliaio di altre persone. Ombra e onda d’urto che cola densa e compatta su mille occhi ipnotizzati. Ed è più o meno a metà concerto, fino a quel punto andato avanti con qualche saliscendi di voce e voglia, sull’elementare giro di basso che apre Evil che accade. Accade che quella roba che faticheresti a definire musica di alto profilo – perché come altrimenti la si potrebbe inserire, per complessità di costruzione e difficoltà di esecuzione, nella medesima categoria, per dire, della Missa Dux Hercules Ferrariae di Josquin Desprez? – ti smuove qualcosa direttamente all’altezza delle budella. E non è solo o non è tanto la gente che salta e canta a cinquecento metri in linea d’aria dal quadrivio degli angeli, dalla lapide di Via Mazzini, dal cimitero ebraico dove è sepolto Bassani, non è il rito collettivo che faticherebbe ormai a smuovere il disincanto over quaranta in cui mi ritrovo a vivere, bensì qualcos’altro difficile da definire. Di certo deve avere a che fare con il modo in cui quell’ombra s’appoggia su quel muro, con quella lievissima ma imprescindibile impressione che un qualche passaggio, umanissimo passaggio, sia inequivocabilmente avvenuto.

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