Di corsa

Il parco nella mattina fredda sembrava come pieno solo di immondizia. Ai bordi del sentiero sterrato che corre lungo la rete che divide il Parco urbano dall’inurbano che lo circonda. Il fiume di un verde immobile, la riva punteggiata di bottiglie di plastica rattrappita, il ponte di Schiavonia, visto dal basso, un brusio fluido di automobili ronzanti. Fango scuro e indurito dalla gelata mattutina scrocchia sotto le suole delle vomero in questi sette chilometri corsi senza nemmeno troppo affanno e con la panza che ancora ballonzola di biscotti notturni rubati da sacchetti troppo rumorosi. Incrocio i consueti cani che accompagnano i loro padroni nelle loro passeggiate. Ormai li conosco bene e loro mi guardano per dovere di cronaca, senza nessun reale interesse. Esistiamo e tanto basta, ritmi cardiaci che pulsano sangue e ossigeno a cervelli e polmoni. Capita di respirare la stessa aria. Poi i due gatti che, come ogni giorno, attendono la loro gattara benefattrice con i suoi cartocci di carne sminuzzata. Le zampette piegate sotto, il muso impassibile, bonzi non di questo mondo, monaci in meditazione gli occhi puntati nell’oltremondo.

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