Vecchi post 1/ Bob Frost

Bisognerebbe citarlo tutto, tutto per intero un poeta come Robert Frost, Bob Frost come lo chiama Tom Waits in Daubailò. “L’opera di Mr. Frost non è ‘perfetta’, ma è l’opera di un uomo che non farà concessioni né avrà false pretese. Non ricorrerà ad alcun trucco.” Così, Ezra Pound in una recensione a North of Boston. C’è un testo proprio in quel volume del 1914 intitolato A servant to servants in cui la voce narrante è quella di una donna molto povera che prende a parlare con un tizio che ha piantato la tenda in un campo vicino a casa sua. Nel lungo monologo un po’ si lamenta delle condizioni cui è costretta a vivere, un po’ racconta la storia della sua famiglia, e in particolare di uno zio pazzo rinchiuso in una gabbia di legno. Anche lei non sembra esattamente a posto: ne consegue un lungo racconto tra il semplice e l’obliquo, con questa superficie chiarissima tipica del migliore Frost che però quando ti ci vai a specchiare ti restituisce un’immagine dai contorni non così limpidi e come ondeggiante di indeterminatezza. A un certo punto, dice di sé: “It’s got so I don’t even know for sure / Whether I am glad, sorry, or anything. / There’s nothing but a voice-like left inside / That seems to tell me how I ought to feel, / and would feel if I wasn’t all gone wrong. Nella traduzione di G. Giudici “Sono arrivata a non sapere più nemmeno / Se sia contenta, o triste, o un’altra cosa. / Dentro mi resta solo una specie di voce / Che sembra dire come dovrei sentirmi, / Come mi sentirei se non fossi tutta sbalestrata.” Frost usa un’espressione bellissima qui “a voice-like”, “una specie di voce” traduce quel vecchio volpone di Giudici e se la cava, come in tutto il volume mondadoriano, con quel mestiere di chi le parole le frequenta da tempo immemore. Espressione limpida e sinistra al contempo, voce che è guida ma anche altro da sé, non controllabile e capace dunque di ‘mandare tutto all’aria’. Sempre in questo testo c’è un passaggio che molto è piaciuto a Roberto Galaverni che lo cita un paio di volte nel suo Il poeta è un cavaliere Jedi. Il passaggio in questione è the best way out is always through – sempre con Giudici – il miglior modo di uscirne è passarci. E dunque nelle parole di Galaverni: “Del resto in letteratura puntare sulle ragioni del dentro, che sono sempre ragioni di accrescimento, è l’unica strada per dire qualcosa di efficace e di persuasivo e in sostanza di vitale sul fuori. La priorità di questo fuori – chiamiamolo pure mondo o realtà, non importa se esterna o interiore, se pubblica o privata – un artista può significarla solo attraverso l’evidenza di realtà di quel dentro; dunque attraverso l’approfondimento e la forza di persuasione intrinseca della sua lingua e della poesia, della sua arte.” Ascoltando e prestando fede a quella ‘voice-like’, appunto.

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