Traduzione vs. Lacan I

Il traduttore di poesia abita soglie, indecisioni, esitazioni. Vive sull’altalena di un testo (la traduzione di un testo poetico) che non è mai un essere compiuto in sé, che non dovrebbe mai diventare un essere compiuto in sé. Nella teoria lacaniana passata alla storia della filosofia/psicoanalisi come “lo stadio dello specchio” – qui mi riferisco alle prime gestazioni della teoria, presentata per la prima volta su un pugnetto di foglietti a Marienbad nel 1936 nel corso del XIV Congresso dell’International Psychoanalytic Association (la vicenda dei foglietti è una storia sé, la racconta bene Davide Tarizzo in Introduzione a Lacan – Editori Laterza 2009 su cui si basano molte delle riflessioni che seguono) Lacan presenta l’infante (tra i 6 e i 18 mesi) immerso nella propria impotenza motrice a causa della “prematurazione specifica della nascita dell’uomo”. In buona sostanza, il neonato vive solo grazie e esclusivamente in virtù del fatto che qualcun altro si è preso cura di lui. Poi un giorno scorge la propria immagine allo specchio e lì accade qualcosa di straordinario: vede un essere compiuto grazie al quale può anticipare la visione, l’unità e la padronanza del proprio corpo. È la nascita dell’Io in quanto oggetto: di qua dallo specchio l’infante come corpo-in-frammenti (corp morcelé), il soggetto che Lacan chiamo lo “Je” che compie l’esperienza, dall’altra parte un tutto di cui è padrone, un’immagine idealizzata, unificata, quello che Lacan chiama il “Moi”, verso la quale tendere per potere superare la propria condizione di frammentarietà. Un piccolo passo in avanti: nel momento in cui nasce l’Io, la nascita della coscienza coincide con la nascita dell’autocoscienza con tre conseguenze (seguendo sempre Tarizzo): a) cosa resta del soggetto che non è più coscienza? L’inconscio, risponde Lacan b) L’Io sinonimo di coscienza è IMAGO riflessa dallo specchio (MOI) e dunque un’immagine speculare e ideale del corpo stesso che si produce ogni volta che è data una superficie tale da potere produrre ciò che si chiama un’immagine c) viene a formarsi un movimento dialettico senza sosta tra il corpo-in-frammenti di qua dallo specchio e l’UNO che sta al di là dello stesso. È quel tipo di dialettica che struttura ogni rapporto a venire tra il soggetto e propri simili. Il soggetto da quel punto in avanti passerà da un’identificazione all’altra secondo quella che sarà la scansione della sua storia personale ricostruita poi nel corso dell’analisi. La condizione di questo soggetto è inevitabilmente alienante proprio nella sua natura di impossibilità da parte dello “Je” di uniformarsi a quel “MOI” che lo richiama a essere pienamente; il soggetto in frammenti ha trovato una via di fuga verso la completezza, ma con un grosso problema: l’IO non può essere distinto dal dire “Io”, esiste in quanto riflesso e in quanto richiesta di riconoscimento da parte del Moi, di qui la “matrice simbolica” della sua genesi che non accade mai veramente pienamente e completamente. Poi arriverà il grande padre/Edipo (e il buon Amleto ne sa qualcosa) a cercare di bloccare questo samsara di identificazioni, fornendo al corpo-in-frammenti un ideale al quale potersi approssimarsi. Fermamioci un attimo qui perché poi Lacan prosegue e le cose si fanno ancora più interessanti. Il testo-in-traduzione, nella sua fase primordiale, diciamo nelle sue prime incerte e esitanti stesure non appare molto lontano dal corpo-in-frammenti dello stadio dello specchio di Lacan, da solo non esiste, esiste solo in quanto riflesso (coscienza/autocoscienza) di un MOI ideale (il testo poetico originale) verso cui tendere, cui cercare di approssimarsi il più possibile. Le scansioni della storia personale del testo-in-traduzione saranno le diverse fasi del lavoro, saranno l’accadere simbolico della relazione con l’originale con il traduttore ancora nel ruolo di uno strano “infans” cresciuto che esiste solo in quanto rapporto e nella storia della traduzione, con le continue ritraduzioni cui un testo va soggetto proprio per la natura dialettica del rapporto di cui si diceva sopra. Va da sé che se l’Io continua a ricadere al di qua dello specchio (verso il corpo-in-frammenti) avremo una condizione di progressiva schizonoia e isteria (e dunque, si potrebbe dire traduzioni schizonoiche e isteriche) mentre se l’Io continua a cadere al di là dello specchio e dunque verso l’immagine ideale e alienante dell’Io ecco comparire paranoia, nevrosi ossessiva (e allora traduzioni paranoiche o nevrotiche ossessive). Resta intesa, inoltre la natura dialettica della relazione tra immaginario e simbolico istituita da Lacan, laddove verificandosi il processo di identificazione con una IMAGO ci ritrova, appunto nella dimensione “immaginaria” (la traduzione si rispecchia con l’immagine di sé completa/sempre il testo di arrivo e quello originale) ma anche “simbolica” per la sua natura difettiva o mancante, di un qualcosa che rimanda a un pieno che non c’è (la traduzione “perfetta”, ovvero la ri-produzione dell’originale, un po’ come nel celebre racconto di Borges sul tizio che riscrive il Don Chisciotte e a forza di limarlo, cancellarlo, finisce con il riscrivere esattamente il testo originale)… to be continued

Commenti

  1. Ciao:mi chiamo Antonio Bandieri e sono un pedagogista,mi interessa molto questo sito:ma attenti non ditelo a Matteo Zito!

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