Una specie di presentazione

Traduco libri da una vita e ne ho tradotti un bel po'. Vado fiero del mio primissimo lavoro, una lettera d'amore dall'italiano in russo di un contadino romagnolo che voleva sposarsi una russa. Non so come sia andata a finire la storia. Del mio primo lavoro folle: elenchi di valvole e bulloni per un'azienda della zona. Del delirio di quel pazzo di Jack Kerouac in Vecchio Angelo Mezzanotte, grazie al quale parlai, una volta, con la Pivano al telefono. Dei classici per Guaraldi, in particolare modo de "Il Viaggio Sentimentale attraverso la Francia e l'Italia di Laurence Sterne. Di tutta la poesia, Seamus Heaney, dalla collaborazione con Mussapi a The Spirit Level, passando per Electric Light e District e Circle - nella collana dello Specchio di Mondadori che sfogliavo da bambino con reverenza rubacchiando i volumetti dalla libreria di mio padre. Di Paul Muldoon e Simon Armitage, sempre per la stessa collana. Di Jamie McKendrick (con Antonella Anedda) per Donzelli. Della mia prima Uno a metano con cui facevo forlì rimini tutti i giorni per lavorare in una casa editrice tra i vigneti di covignano. Delle collaborazioni con riviste senza guadagnare un soldo in anni scalcagnati fatti di case arroccate sopra a incroci cittadini e giornate perse a cazzeggiare con due tizi loschi che vivono a Bologna di libri e poesia senza curarsi di molto altro. Ora sono un "prof." di inglese sperduto in quel paesaggio desertificato alla Cormac McCarthy che sta diventando la scuola italiana. Voglio molto bene ai miei studenti e mi sembra che la cosa sia reciproca. Continuo a tradurre, ritagliandomi il tempo con le forbicine per le unghie, perché tengo famiglia, una bellissima famiglia, con una moglie che ne sa a pacchi di sociologia e un figlio che ne sa a pacchi di mostri e fantasmi.

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