Recensione Marcoaldi - La Repubblica

da La Repubblica

Heaney, versi da Nobel alla ricerca (irlandese) del tempo sospeso
14 maggio 2011 — pagina 45 sezione: CULTURA

«Un secchio/di smalto bianco/colmo di piccole pere». Come un Vermeeer poetico del Novecento, Seamus Heaney crivella i suoi versi con immagini che cercano di fissare la sospensione del tempo, quasi a voler disegnare una sorta di metafisica dell' ordinario. Di continuo affiorano ricordi dal passato e lui, con occhio attento e cuore palpitante, ne riporta l' onda sonora sulla pagina: «ancora sentire sui palmi a coppa/il tonfo e il tintinnio di una cassettina per le elemosine,/colma di monete di rame sino al coperchio con fenditura». Il mondo contadino, da cui Heaney proviene, conosce il quieto silenzio naturale, ma anche tutti i rumori dell' attività umana: «il clangore della pressafieno», «l' hop hop di un trattore in corsa», «rasoiate di diesel nell' aria della sera». Poi, appena tornati in casa, ci penserà il fuoco alimentato dal macinato di carbone, a offrire l' opportuno accompagnamento musicale: «il suono che produce/per me vale più/di qualsiasi allegoria» Una volta di più, leggendo questa raccolta amorevolmente tradotta da Luca Guerneri, ci si rende conto di quanto sia difficile distinguere e separare in Seamus Heaney il poeta dal lettore di poesia; il secondo, non meno formidabile del primo. Lo dimostrano l' originale reinterpretazione de L' aquilone di Giovanni Pascoli, che chiude il volume, e i versi di Linea 110, che raccontano un viaggio in autobus con in tasca il libro VI dell' Eneide. È come se il premio Nobel irlandese fosse mosso sempre da un doppio sguardo: con un occhio tiene d' acconto la grande tradizione, che conosce a menadito e di cui si dimostra critico finissimo. Mentre con l' altro si occupa di offrire suono e senso alla propria esperienza, grazie a versi che combinano sobrietà di tono, precisione logica e una vividissima immaginazione, memore in questo della lezione "naturalistica" dell' amata Elizabeth Bishop. Ed ecco così il miracoloso "erbario", dove eriche e calendule, ranuncoli e ginestre, che affondano le loro radici tra le tombe «in tutte le dinastie dei morti», fanno dire al poeta: «lì fui/io nel luogo e il luogo in me». È qui che l' autobiografismo della poesia di Heaney supera se stesso, oltrepassa l' io. E si fa canto del mondo, spazio sonoro collettivo in cui ciascuno può riconoscersi. Questo, del resto, è il senso più profondo della "catena umana" a cui il titolo allude. Proprio confidando sul valore di quella catena, si terrà testa alle amnesie della mente, al passo incerto della vecchiaia, all' imprevedibile fragilità del corpo, magari volgendo in versi una drammatica corsa in ambulanza verso l' ospedale -come accade in Chanson d' aventure. La malattia e l' invecchiamento non spengono la spinta vitale, il desiderio di salpare. Seamus Heaney lo aveva già scritto nei saggi che compongono La riparazione della poesia, dove, riprendendo Karl Barth, attribuisce alla musica di Mozart la massima grandezza perché il suo SI contiene e supera il No che pure la pervade. La poesia, la grande poesia, sa fare altrettanto. È una forma di riparazione, che sa superare ogni minaccia dall' esterno e ogni cedimento interiore. - FRANCO MARCOALDI

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