Note sulla narrativa di Larkin

Philip Larkin, Jill, prima edizione Fortune Press, 1946 - Poi London, Faber and Faber, 1975.

Philip Larkin, A Girl in Winter, prima edizione Fortune Press 1947, poi Faber and Faber, 1975.


La narrativa rappresenta un enigma nella vicenda letteraria di Philip Larkin Escono a distanza di due anni, infatti, Jill (1946) - A Girl in Winter (1947), quando il poeta non ha che poco più di vent'anni, le uniche due prove narrative di tutta una vita. La scrittura di Larkin che, con il secondo romanzo in particolare, ha dimostrato di sapersi muovere con perizia all'interno dei meccanismi narrativi tace per sempre. Diverrà poeta, tra i più grandi in lingua inglese di questo nostro secolo. Produrrà raccolte di versi intense quanto sporadiche: se ne contano quattro nell'arco di una vita artistica, con intervalli temporali che toccano anche i dieci anni. Ma niente più narrativa. La prosa sarà confinata alle lettere, ai saggi, alle recensioni del tanto amato jazz. Se si eccettua The North Ship, la prima raccolta di versi edita nel 1945, Larkin si presenta sulla scena letteraria come narratore.

E lo fa raccontando al lettore un proprio e personalissimo "giovane Holden" inglese. La storia di Jill è largamente autobiografica e narra il primo semestre universitario ad Oxford della matricola John Kemp. Siamo nel 1940 e la guerra comincia a farsi sentire con i primi bombardamenti tedeschi. Il romanzo inizia con il viaggio di John dalla cittadina del Nord nella quale è nato verso Oxford. John porta con sé un bagaglio di scarsa autonomia e desiderio vitale compresso; i segni di un'adolescenza irrisolta e deficitaria. Deve dividere stanza e vita con un ragazzo, Cristopher Warner che ne incarna il perfetto opposto: scapigliato, superficiale, estroso ed eccessivo. I due cominciano una convivenza che per Kemp significa una continua altalena di attrazione/repulsione, ricerca di accettazione nel circolo delle amicizie di Warner e confronto con Whitebread che di Kemp rappresenta invece il perfetto alter ego, distillato di consapevolezza della propria condizione di inferiorità sociale e desiderio di ottuso riscatto. Kemp ha sensibilità in eccesso, intelligenza acuta ma manca completamente di capacità di agire, di incidere su un mondo che gli scivola davanti come l'acqua sul selciato delle strade di Oxford. Sino a quando un giorno, un po' per cercare di attirare l'attenzione di Warner, un po' per popolare quel suo solitario mondo di un qualche surrogato, inventa un personaggio femminile, una sorella, che risponde al nome di Jill. Ne scrive lettere, poi un diario, poi un lungo racconto. Ma accade l'inevitabile: Jill esiste davvero (si chiama Gillian ed è una cugina di un'amica di Warner) e sbuca improvvisa ed inattesa da una libreria del centro. Kemp vede i piani della realtà e della finzione rotolare l'uno dentro all'altro, sente il mondo sprofondare in una confusione ulteriore. All'improvviso giunge notizia che la cittadina natale di Kemp è stata bombardata. Compie un viaggio in treno per scoprire che la sua casa è rimasta, insieme a poche altre, intatta e che i genitori si sono rifugiati presso alcuni parenti. Kemp trova davanti a sé lo specchio del proprio mondo interiore: nulla è più come prima. Ora è più libero ma anche più solo. Tornato ad Oxford tenta la carta di un improbabile approccio che fallisce sino a quando, una sera, si ubriaca e bacia Jill/Gillian che fugge piangendo all'uscita di una festa di fine semestre. Il romanzo si chiude con Kemp ricoverato nell'infermeria dell'università dopo un ubriaco bagno in fontana che gli ha procurato un febbrone e una leggera forma di deliquio. I genitori del tanto caro e bravo ragazzo Kemp camminano con orgogliosa titubanza e deferenza lungo i corridoi dell'antica istituzione universitaria inglese. Vanno in visita ad un John Kemp che comincia a comprendere il proprio ruolo in questa esistenza.
La scrittura di Larkin, ha ventuno anni quando completa la stesura del romanzo, tocca i punti che saranno i cardini della sua poetica: la solitudine che lenta porta all'indifferenza, un desiderio di esperienza che per motivi diversi e spesso imperscrutabili fallisce la presa sulla realtà. Lo stile nitido, pulito, pronto a registrare le leggere ma decisive oscillazioni climatiche della vita interiore di John e del cielo di Oxford è già in buona misura quello del poeta di The Whitsun Weddings e di High Windows. Ci sono passaggi nei quali le immagini che l'occhio di Kemp registra entrano ed escono, come davvero sa fare solo la grande poesia tra il dentro e il fuori delle cose, tra il dentro e il fuori dell'interiorità. Il ritmo della prosa lascia dunque spazio ad uno scivolamento verso i confini della sintassi poetica: "E all'improvviso gli sembrò che non vi fosse più nulla da fare, nulla tranne la certezza che a questo giorno ne sarebbe seguito un altro ugualmente vuoto, solo il delicato picchiettare della pioggia sulle pietre antiche." (pag.123)
Larkin impiega già con buona perizia registri stilistici diversi tra loro. La polifonia del colorito linguaggio studentesco è contrappuntata dall'accento del nord che ritorna nel lungo flashback centrale che racconta degli anni pre-universitari di Kemp nella cittadina natale. Si era detto di un "giovane Holden". E lo è: un Holden larkiniano, però. Un Holden che in luogo dei larghi spazi della protesta e della volontà di affermazione tipicamente americani sostituisce il cielo grigio e gonfio di nuvole di un'Inghilterra che sta per uscire in ginocchio da anni di recessione e dalla guerra. E sta qui forse il senso profondo del libro e la sua attualità: nel racconto di un adolescenza che trascolora verso una maturità senza una necessaria implicazione di miglioramento o di aumento di grado. Ad un mutato livello di profondità di consapevolezza non necessariamente corrisponde una nuova e luminosa felicità. Un'accettazione, virile e disillusa: questo sì. L'esperienza, comune a molti in questi tempi, di un disorientamento profondo può trovare in questo libro, per molti versi cupo e irrisolto, uno spazio angusto come una stanza povera di cose. È lo spazio angusto che ha la musica di ciò che accade. E non c'è trucco che possa colorare il mutare delle cose nel tempo. Come quando Kemp realizza che insieme alla distruzione della propria città corrisponde la fine di qualcosa: "Non significava più nulla per lui, il paese era distrutto: gli parve un atto simbolico, come se la sua infanzia fosse stata cancellata. L'idea lo eccitava. Era come se gli fosse stato detto: tutto il passato è stato cancellato: tutta la sofferenza legata alla città, alla tua infanzia, è stata spazzata via. Ora c'è una nuova possibilità: non sei più governato da quanto è accaduto" (p.219). Con tutto il sapore di disillusione e contemporaneamente di profonda forza che quella nuova possibilità porta con sé.

Con A Girl in Winter pubblicato nel 1947, Larkin approfondisce e leviga ulteriormente le tematiche già affrontate nel primo romanzo. La scrittura si è fatta ancora più incisiva e la struttura narrativa, con il narratore confermato in terza persona, è salda al punto da stemperare in duecentocinquanta pagine gli accadimenti le riflessioni di un solo giorno. Le pagine iniziali ci introducono il personaggio principale della vicenda - Catherine: di lei sappiamo che viene da un paese straniero, che lavora in una biblioteca, che è sola. Poi, lentamente, come lo sciogliersi della neve - quasi un personaggio all'interno della narrazione, apre e chiude circolarmente la narrazione - il racconto si svela. E si rivela la storia di un amore perduto. Lo sfondo è sempre quello dell'Inghilterra in guerra. La storia occhieggia di tanto in tanto attraverso i titoli di un giornale, il rumore di un allarme aereo, qualche soldato ubriaco che ruzzola fuori dalla porta di un pub. Catherine è tornata in Inghilterra a distanza di diversi anni da quando, giovanissima, vi era giunta per la prima volta su invito di un pen friend che risponde al nome di Robin. Ora ha ricevuto una lettera da lui che le preannuncia una visita per quello stesso giorno. La parte centrale del romanzo ci racconta di quelle tre settimane passate in visita presso la famiglia di Robin. Ci racconta di una grande illusione d'amore, di una ragazza che, seppure ingabbiata in una rigidità che in parte l'accomuna al Kemp di Jill, ama la vita e desidera viverla sino in fondo. Ma Robin si rivela persona mediocre e convenzionale, il suo atteggiamento nei confronti di Catherine è quello di un ospitale ma distaccato padrone di casa. Sino alla sera prima della partenza quando, in un impeto del tutto inatteso, il giovane bacia Catherine in maniera confusa e impacciata. Con la terza parte del romanzo e l'annuncio della visita di Robin a Catherine siamo di nuovo al presente. Tra le vessazioni del capoufficio, un tentativo di amicizia con una giovane collega che naufraga in un'umiliazione ulteriore, giunge la sera e con essa Robin che si presenta a casa di Catherine nonostante lei abbia fatto di tutto per non incontrarlo. È cambiato Robin, è più maturo, ma solo nell'aspetto. Nella sua divisa da militare. Lo conferma il suo nuovo assalto amoroso privo di tatto, privo di prospettiva. E Catherine, anche lei ormai passata ad un livello di consapevolezza superiore, lascia fare. Trascorre con lui una notte d'amore regalandogliela come un atto di gentilezza. E poi è di nuovo la neve. Chiude il romanzo come l'aveva aperto, cadendo come nel celebre finale del racconto di Joyce. Cade e fiocco dopo fiocco diventa si fa cumulo di ghiaccio e pensiero trascinato verso un "canale d'acqua privo di luce". I pensieri lasciano il passo ai tanti sogni mai realizzati, alla consapevolezza ed all'accettazione che mai si realizzeranno. Eppure, ancora una volta in Larkin, a questo momento di illuminazione e conoscenza viene associata sì la tristezza ma anche la serenità di tale ordine e di un tale destino. Il cuore, la volontà lanciano un ultimo grido prima che il sonno rassereni, la neve si sciolga su un nuovo giorno di vita che ricomincia.
Catherine si rivela un personaggio più "solido" rispetto a John Kemp. Possiede una sua autonomia di vita che le permette di costruire e decostruire le proprie illusioni. La condizione dell'esilio è per lei una scelta, non un qualcosa di subito. Si potrebbe parlare di "evoluzione naturale" di un personaggio. Come se il protagonista del primo romanzo proseguisse idealmente nella protagonista del secondo. E lo stesso discorso può essere fatto per gli stilemi della narrativa larkiniana. Ritroviamo il paesaggio, il clima come elementi determinanti della narrazione. Ma Larkin sembra ora in grado di giocare con maggiore libertà sulla dinamica della propria composizione. La neve, il ghiaccio dominano la prima e la terza parte del libro, mentre un sole accecante che riluce sulla campagna inglese illumina tutta la seconda parte. Catherine stessa sembra potere disporre di un numero superiore di ottave rispetto alla scarna, per quanto elegante, tastiera delle emozioni di un John Kemp. A tutto questo va sommata l'abilità compositiva complessiva che riesce a mantenere alto il livello dell'attenzione del lettore pur raccontando nella prima e nella terza parte del romanzo, e lo si e detto, le vicende di una singola giornata nella vita della protagonista.

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