Gli anni novanta della poesia inglese (visti dal '98)

4 marzo 1998


1. Gli anni ’90: la New Generation Poetry di Simon Armitage

1.1. Introduzione

Per tentare una definizione della poesia inglese degli anni novanta si potrebbe, ad esempio, mettere a confronto da un lato l'opinione di una delle voci "giovani" più influenti ed importanti - quella di Simon Armitage - dall'altra quella di un "vecchio" critico che la storia della poesia di questo secolo ha contribuito a scriverla - Ian Hamilton.
Risponde Armitage alla domanda: "Qual è la situazione della poesia inglese di questi anni?: "Very varied, very plural, very exciting. A broad church - no right or wrong way to write. No dominant school of thought or dominating scholars. People doing their own thing, coming at poetry from different angles. Spread out across the classes. Healthy I think." [Molto varia, plurale, molto stimolante. Una chiesa liberale - nessuno che dica "giusto" o "sbagliato" su come si deve scrivere. Nessun dominio da parte di una scuola di pensiero o di qualche critico in particolare. La gente fa la propria cosa arrivando alla poesia da ogni possibile angolazione. La poesia attraversa le classi e i confini territoriali. Mi pare proprio che sia in buona salute.]
Gli fa eco Ian Hamilton sulla Poetry Review n° 87 winter 1997/98: "I don't even know that I could define this period at all. I do feel that poetry's become more of a rag bag - more inclusive, more discursive, more shapeless, more chatty, more of a recepctacle for amusing observations. I think that poetry should begin with the kind of intensity and focus and craftsmanship that insists on every line being perfect. Most of what is out there today isn't really poetry. Is the "New Gen" really about poetry?" [Non so nemmeno se si possa definire questo periodo. Mi sembra che la poesia sia diventata sempre più un guazzabuglio, sempre più comprensiva, discorsiva, senza forma, un chiacchiericcio utile come ricettacolo per osservazioni argute e divertenti. Io penso che la poesia dovrebbe partire da quel tipo di intensità, attenzione ed abilità tale che ogni verso che viene creato miri alla perfezione. La maggiore parte di quanto va sotto la definizione di poesia, oggi, non lo è. Forse che la "New Gen" è davvero poesia?]
Diciamo che è un buon punto di partenza. Se non altro per tentare una prima definizione: la poesia inglese degli anni novanta nasce e cresce all'ombra del grande totem della "pluralità". Pluralità, pluralismo, multiculturalismo, melting pot definiscono una galassia concettuale che si può abitare controvoglia o che si può tentare di vivere a rischio dell'integrità o di un certo ideale di ordine.
1.2. La New Poetry della Bloodaxe
Nel 1993 la Bloodaxe di Newcastle aveva dato alle stampe The New Poetry curata da Michael Hulse, David Kennedy, David Morley. Sembrò ovvio che ad incaricarsi di pubblicare la antologia del decennio fosse quella casa editrice che maggiormente si era distinta nel lavoro di rilevazione e scansione della produzione poetica emergente. L'antologia, come sempre succede alle antologie, ricevette grandi consensi, grandi critiche; ci fu chi la salutò come la tanto attesa "rivoluzione" poetica, chi non vi vide nulla di originale e la snobbò. Per intanto, però, l'avanzata del Nord, già segnalata tra gli anni settanta e ottanta, arriva ad un punto di svolta decisivo: di pubblicare l'ideale punto di raccolta della poesia degli anni novanta si fa carico una casa editrice molto lontana e non solo geograficamente, dal triangolo tradizionale Londra-Oxford-Cambridge. Che il centro non tenesse più era già sembrato evidente con la pubblicazione de The Penguin Book of Contemporary British Poetry a cura di Morrison e Motion nel 1982, ma che anche l'egemonia editoriale passasse la mano in maniera tanto clamorosa fu davvero un segnale importante.
L'antologia è un distillato di pluralismo; se Motion e Morrison avevano deciso di selezionare venti autori i tre curatori di The New Poetry ne antologizzano ben cinquantacinque. Sembra esserci davvero spazio per tutti: ma anche qui non mancheranno le critiche.
Come sempre accade, ancora prima del gioco preferito da tutti i critici all'uscita di una nuova antologia il "chi c'è chi non c'è", ci si buttò a capofitto sull'Introduzione. Salvo gettare l'occhio sulla sinistra e vedere che l'Introduzione era preceduta da una Prefazione. I primi dolori: i tre curatori dichiarano due cose: a) non abbiamo antologizzato nessuno degli autori presenti ne The Penguin Book of Contemporary British Poetry b) non abbiamo antologizzato nessun autore nato dopo il 1940. La motivazione addotta per entrambe le decisioni è che in questo modo l'antologia sarebbe risultata la più "giovane" possibile, la più vicina a quanto effettivamente si andava pubblicando e scrivendo.
La prima frase dell'introduzione fece sobbalzare molte persone: "Every age gets the literature it deserves" [Ogni epoca ha la letteratura che si merita]. Verità profonda quanto "elementare" se poi non si passa a definire e la letteratura e l'epoca e il rapporto che le lega. Ma Hulse, Kennedy e Morley sembrano avere le idee chiare. La società inglese degli anni ottanta ha prodotto fasce economicamente deboli underclass sempre più stabili e definitive; l'Inghilterra come identità culturale non esiste più: l'amplissima immigrazione ne ha fatto il punto di fusione ed incontro ideali per le tante culture (soprattutto indiane, caraibiche ed africane) che prima facevano parte del concetto "per esteso" di Regno Unito. Inutile dunque insistere troppo sulla definizione e certezza di un qualche "self" che prevalga sull'altro.
La poesia è dunque "black" - antologizzata e in questo senso ufficializzata per la prima volta è la poesia di Linton Kwesi Johnson con il suo utilizzo di un inglese "creolo" e "pidgin", quasi da rap urbano. Viene sottolineata l'avanzata (ma anche questo era già stato un fenomeno tipico degli anni settanta) della poesia scozzese, irlandese, gallese. Della poesia al femminile (37 uomini e 18 donne - non siamo tanto lontani dunque dal rapporto già evidenziato nell'antologia di Motion e Morrison).
Si parla di una New Poetry che sia più accessibile, democratica, responsabile, seria ma non seriosa. Si riafferma la necessità che il poeta incida sulla società, che prenda i rischi dovuti, magari monologando dai sobborghi come fa Carol Ann Duffy. O come fanno, sempre secondo i tre curatori, poeti quali Ciaran Carson, Sean O'Brien, Michael Hofmann, Fred D'Aguair.
Si definì, in sostanza, quell'Introduzione come un ritorno ad una poesia impegnata; si usò, forse con eccessiva disinvoltura, il termine di poesia politica.
Ed è tutto giusto, ed è tutto vero. Ma, forse non del tutto nuovo, non del tutto originale. A cominciare dal titolo: The New Poetry - il medesimo dell'antologia di Alvarez che nel 1962 aveva cambiato la direzione della poesia inglese di quegli anni. E anche nei contenuti, in particolare dell'Introduzione; gli stessi Motion e Morrison avevano raccontato di una poesia "nuova", capace di portare avanti una politica "quotidiana". Avevano antologizzato Harrison e Dunn e in quegli anni non erano certo degli autori affermati. Avevano commesso un errore di prospettiva (in buona misura riconosciuto): quello di attribuire troppa importanza alla martian poetry che funzionò più come etichetta colorata che come qualcosa di veramente nuovo.
Sia chiaro: l'antologia della Bloodaxe ha avuto un'importanza decisiva; è stata capace di raccontare i mille volti di una società e di una cultura in via di definizione; se non altro ha provato a farlo e proprio mentre questo avveniva in maniera clamorosa.
Rimane però evidente anche l'impossibilità e di fissare un limite a tanto pluralismo e di trovare (se poi questo è davvero necessario) una linea di definizione comune. Il pluralismo, il multiculturalismo sono un dato di fatto talmente evidente che forse non bastano una visione "politica" e una introduzione in un'antologia per poterli spiegare.
1.3. I New Generation Poets
Nella primavera del 1994 la Poetry Society (una delle più antiche e gloriose istituzioni della poesia inglese) decise di organizzare una specie di censimento dei poeti che avevano pubblicato una o al massimo due raccolte sino a quell'anno. Affidarono dunque il compito a critici e poeti di selezionarne venti per un numero monografico della rivista Poetry Review nel quale raccontarli un po' più da vicino, dare loro la parola. Si trattò, in definitiva, di tentare di cercare quali fossero le voci più importanti della poesia inglese alla metà degli anni novanta. Si parlò dei "poeti del duemila". Di fatto ne uscì fuori una nuova "antologia" cui seguirono, come era stato per quella della Bloodaxe, i soliti strascichi polemici.
Anche Peter Forbes, editor della rivista, sottolineò la pluralità delle voci e fin qui niente di nuovo. Ma andando a guardare un poco più in profondità tra le letture dei poeti selezionati (a tutti venne chiesto di indicare tre autori e tre titoli di opere preferite) si può cominciare a trarre qualche conseguenza generale. Nella curiosa classifica che ne seguì, infatti, il primo posto venne assegnato all'americano Robert Lowell. Non è un dato privo di significato: la capacità di Lowell di sapere usare un certo metro e l'abilità (soprattutto dai Life Studies in avanti di "abbassare" il soggetto senza però fare perdere di vista la poesia come elemento cardine, la poesia dunque e non la prosa prima di tutto) ne hanno fatto un eroe in terra d'Albione. E l'accento lowelliano è molto forte soprattutto nelle prime opere di Armitage. Le donne elessero a loro rappresentante Elizabeth Bishop - un'altra americana, un'altra voce isolata e sottovalutata della poesia americana di questo secolo. Tra gli inglesi il più selezionato fu Auden, segno di un ritorno in grande stile del poeta che il Movement aveva cercato in ogni modo di cancellare dalla tradizione. Sono tutti indici di un ritorno ad una poesia "colloquiale" ma che, come evidenziato dall'antologia della Bloodaxe di cui sopra, non perdesse di vista un'ideale commistione con la società, con la "politica" intesa in un senso quotidiano. La poesia dell'interiorità itinerante rappresenta l'indice di un'identità mancata o frammenta, di una voce divisa tra il desiderio di affermare e il dubbio, lo scetticismo costante sulla prevalenza circa la prevalenza di un punto di vista sull'altro. E Glyn Maxwell, il teatrale rimescolatore di registri è un "self" che sfugge a qualsiasi ipotesi di definizione che l'inchiodi, come una farfalla, con lo spillo del collezionista. A tale proposito Forbes utilizza il termine "postmodernismo"
Ma ci sono voci che stanno completamente fuori dal coro: come quella della Garrett che non sa indicare un poeta del ventesimo secolo; dichiara candidamente di amare John Donne, il poeta metafisico del seicento. Un'affermazione che avrebbe fatto felice T.S.Eliot (a dire il vero quasi completamente dimenticato dai New Generation Poets del 1994).
La pubblicazione di quel numero monografico della Poetry Review ebbe dunque diversi meriti: diede visibilità ad una generazione di poeti, riconfermò in buona sostanza (e, come visto ce n'era bisogno) alcune delle istanze proposte dai curatori dell'antologia Bloodaxe. Non mancò un attacco robusto al triangolo già citato Londra-Cambridge-Oxford identificato, guarda caso, con quello Ian Hamilton di cui abbiamo letto uno stralcio di intervista nel primo paragrafo di questa introduzione. Si attaccò una certa politica culturale "nepotista" quale emerge ad esempio nel voluminoso dizionario The Oxford Companion to Twentieth-Century Poetry nel quale, secondo Forbes, c'è poco spazio per la "New Gen" mentre larga eco è riservata agli amici degli amici.
Si dice questo non tanto per riportare una polemica che potrebbe sembrare del tutto irrilevante, quanto per segnalare che finché qualcuno polemizza con qualcun altro dalle pagine così prestigiose come quelle della Poetry Review, ciò significa che c'è ancora voglia di confrontarsi e di dire la propria.
Anche nella Poetry Review figurano in maniera equa inglesi e "non" a testimonianza del fatto del pluralismo delle voci su cui tanto è insistito; si riconosce l'importanza e l'ampiezza del lavoro svolto dalla Bloodaxe come strumento di diffusione.
La nuova generazione è viva, sembra essere il messaggio definitivo che esce dalla copertina colorata di giallo e viola della Poetry Review. È viva e non ha intenzione di mollare la presa.





2. Simon Armitage in CloudCuckooLand
(Testi in appendice)

A Glory [Un Gloria]
Double Figures [Cifra Doppia]


La lirica che apre l'ultima raccolta di versi di Simon Armitage (classe 1963) A Glory [Un Gloria] inizia così:

Right here you made an angel of yourself,
free-falling backwards into the last night's snow,
identing a straight, neat, crucified shape,
then flapping your arms, one stroke, a great bird,
to leave the impression of wings. It worked.
Then you found your feet, sprang clear of the print
and the angel remained, fixed, countesunk,
open wide, hosting the whole of the sky.

[È esattamente qui che ti facesti angelo
in caduta libera sin dentro alla neve scesa ieri sera
disegnando una linea esatta, pulita, in forma di croce,
per poi battere le braccia, un colpo, un grande uccello,
e lasciare l'impronta delle ali. Ha funzionato.
Dopo ha trovato i tuoi piedi, sei balzato fuori dall'orma
e là l'angelo è rimasto, fissato, confitto,
allargato a comprendere l'interezza del cielo.]

CloudCuckooLand - 1997- (parola con la quale si definisce in lingua inglese una persona "distratta", "sulle nuvole") rappresenta la quarta raccolta di Armitage per la Faber and Faber (prima c'erano state Kid - 1992 - Book of Matches - 1993 - The Dead Sea Poems - 1995). E prima ancora erano usciti per la Bloodaxe (la più volte citata casa editrice di Newcastle che ha svolto un grande lavoro di "scoperta" di nuovi talenti): Zoom - 1989 - un libro che decretò il successo immediato della poesia di Armitage (6000 copie vendute - per un'opera prima!) e poi Xanadu (un TV poem sull'esperienza in qualità dì educatore di persone in libertà vigilata - attività che Armitage ha svolto per diversi anni prima di dedicarsi come free-lance alla poesia). Tutto questo per dire come a soli trentacinque anni quella di Simon Armitage rappresenti una delle voci più importanti oltre che prolifiche della poesia inglese degli anni novanta. E, visto il numero di raccolte, come si possa tentare di definire, seppure in progress, l'opera del poeta dello Yorkshire.
Torniamo ai versi citati all'inizio. Gli otto versi inseguono una cadenza ritmica (la si avverte distintamente all'orecchio, è fatto di accenti lievi ma costanti), sfrutta un andamento regolare senza piegarsi alla rigidità della rima anche se print e bird e worked e countersunk si chiamano da lontano in gioco molto vicino alla semi rima. L'abilità formale di Armitage è qualcosa che nasce con la sua scrittura, dono naturale mai costruito o troppo ricercato. Certo ha letto Auden - anche lui come Maxwell lo considera uno dei suoi maestri - ha letto Lowell (il maestro di un certo "non-detto" a livello formale) - apprezza Harrison (il concittadino maniscalco e creatore di preziosi allo stesso tempo - lo avevamo visto nella III lezione). Per dire come l'ingenuità della sua poesia sia pari alla sua conoscenza della tradizione.
E la sua poesia sembra una "caduta libera" dentro alla neve fresca del linguaggio. Ne disegna, in forma di parole, una linea esatta, pulita. E qui forse stava molta della prima poesia di Armitage. In questo disegno elegante e pulito di una materia terrena, concreta. Ma torneremo su questo tra poco. Quello che interessa definire qui è che la poesia di Armitage ha alzato, con l'ultima raccolta, il tiro della propria ricerca. Ora c'è qualcosa di più lieve, forse di più ambizioso:

it lies on its own, spread-eagled, embossed,
commending itself, star of its own cause.
Priceless thing - the faceless hood of the head,
grass making out through the scored spine, the wings
on the turn, becoming feathered, clipped.

[là giaceva allungato e solitario, ali distese, come in rilievo,
come raccomandandosi a Dio, stella della propria causa.
Cosa senza prezzo - la cupola della testa priva di volto,
il prato a delimitare l'intaglio della spina dorsale, le ali
girate, quasi piume, riavvolte.]

l'angelo caduto sembra confinato alla terra per sempre. Ma lo sguardo paziente del poeta possiede un potere grande.

Angel,
from under the shade and shelter of trees
I keep watch, wait for the dawn to take you,
raise you, imperceptibly, by degrees.

[Angelo,
sotto l'ombra e al riparo dagli alberi
continuo ad osservare, in attesa che l'alba ti porti con sé,
sollevandoti, impercettibilmente, a poco a poco.]

L'osservazione e l'attesa paziente solleveranno l'angelo e con lui la poesia. Anche il suono, il ritmo sono componenti essenziali di questa "rinascita"; dal shade and shelter of trees dove la s scivola attraverso la t e r per tornare di nuovo come ultima lettera del verso.
Come afferma lo stesso Armitage in un'intervista alla Poetry Review: "I was looking for a bigger adventure and also something that I could lean on like a framework." [Andavo cercando un'avventura più importante e allo stesso tempo qualcosa che funzionasse anche da cornice].
Si riferisce al fatto che la parte iniziale di CloudCockooLand è formata da una serie di ottantotto liriche, una per ciascuna costellazione del cielo. Questa esigenza di qualcosa di più grande è la medesima che muove l'osservazione ad attendere che l'angelo si risollevi e torni da dove è venuto.
La fedeltà letteraria di Armitage, tuttavia, e questo ultimo volume ce lo conferma è rimasta salda al quotidiano. Ad un quotidiano rivissuto e reso con tale disarmante semplicità da temere che la fotografia scattata all'esistente sia sul punto di spezzarsi e tradire un qualche misterioso segreto. L'apparente colloquialità di certi versi, infatti, scarta all'improvviso verso una dimensione altra, l'uso della metafora continuata fa muovere il testo in direzione di un'immagine sempre sorprendente, talvolta misteriosa e ineffabile, talvolta comica e surreale. Ed è qui un'altra delle caratteristiche che più affascina e sorprende in Armitage: la contiguità, la prossimità della dimensione del reale e del trascendente. Prossimità che spesso si fa soglia, scivolamento improvviso da un mondo all'altro nella stessa lirica, nello stesso verso. Con improvvisi cortocircuiti di contatto, dove il cielo, nella sua lontananza non è mai stato così quotidiano, così altamente e poeticamente dietro l'angolo. Si veda a tale proposito Virgo [Vergine]:

Driving back from Leeds, in the small hours,
past the old house, I can't look. Your face
in an upstairs room, like an owl,
or an oil-lamp hanging from a hook.

I think of Venus, star of the dawn
and dusk, plotting his phases and shifts.
Then snow for some reason, snow
from the east, the snow that sticks.

[Guidando a tarda ora verso casa di ritorno da Leeds
oltrepasso la vecchia casa, non riesco a guardare. Il tuo volto
in una stanza al piano superiore, come una civetta,
come una lampada ad olio che pende dal gancio.

Ho pensato a Venere, stella dell'alba
e del crepuscolo, mentre disegna le sue fasi.
Poi, per qualche ragione la neve, neve
da est, neve che attacca.]

Dove lo sguardo verso l'alto incontra un volto familiare, poi rimanda a Venere, poi è costretto dalla strada, dalla neve, a rifarsi quotidiano, semplice, quasi doloroso.
Una sorprendente quotidianità venata da uno sguardo straniato sulle cose aveva rappresentato la cifra stilistica d'esordio del poeta. Non era esente da quella scrittura poetica l'influenza di Paul Muldoon e del Lowell dei Life Studies.
Quando uscì, nel 1989, Zoom fu salutato come l'avvento di una voce che, se non definitivamente originale, era già quantomeno robusta, efficace, determinata. L'evidente colloquialità del verso di Armitage era già cadenzato da quel ritmo un po' nascosto ma avvertibile distintamente che abbiamo visto nelle liriche già citate. "I think I try to write lyrically. By ear. I revise work a lot as I'm going along, and aim for something artistic rather than emotionally unstable. I prefer order to chaosin my own work, but that's not to say I don't enjoy experimentation and rawness in other writers - I do." [Cerco di scrivere di slancio. Ad orecchio. Poi, mentre procedo, ritorno molte volte su quello che sto scrivendo cercando di ottenere qualcosa di artistico piuttosto che di instabile da un punto di vista emotivo. Preferisco l'ordine al caos nel mio lavoro, ma questo non significa che non apprezzi la sperimentazione, la cruda spontaneità nell'opera di altri poeti.]
Quell'ordine emotivamente controllato ed abilmente mescolato ad un uso del vernacolo (Armitage è nato cresciuto e tuttora vive in un villaggio dello Yorkshire sui monti Pennini) disinvolto ed irridente rappresenta la caratteristica principale di Zoom. La poesia che apre il volume è emblematica; sin dal titolo Snow Joke letteralmente [Scherzo di Neve] ma anche ambiguità semantica che deriva da It's no joke - non è uno scherzo - dove la sostanza fonetica è quasi identica ma il contenuto racconta qualcosa in più della poesia che segue. Un personaggio di ritorno da un'avventura extraconiugale rimane intrappolato in una tempesta di neve dentro alla sua Volvo. Lo ritrovano giorni dopo morto congelato e in una curiosa posizione. La poesia si costruisce come un racconto fatto al pub, tra amici, con quell'evidente soddisfazione frammista di qualunquismo con la quale si raccontano le disgrazie altrui quando, in fondo in fondo, si pensa che uno se le è anche andate a cercare. Come si può facilmente capire la faccenda "non è uno scherzo" ed allo stesso tempo è "uno scherzo di neve". Si apre così:

Heard the one about the guy from Heaton Mersey?
Wife at home, lover in Hyde, mistress
in Newton - le-Willows and two pretty girls
in the top grade at Werneth prep. Well

he was late and he had a good car so he snubbed
the police-warning-light and tried to finesse
the last six miles of moorland blizzard,
and the story goes he was stuck within minutes.

[Saputo niente del tizio di Heaton Mersey?
Moglie a casa, amante ad Hyde, mantenuta
a Newton-le-Willows e due bellissime bambine
tra le migliori alla scuola privata di Werneth. Beh,

Era in ritardo e aveva una buona macchina e dunque se ne infischiò
del lampeggiante d'allarme della polizia e tentò di bluffare
le ultime sei miglia di tormenta di neve in mezzo alla brughiera,
e andò così che rimase impantanato nel giro di pochi minuti.]

E la conclusione, tra il costernato e l'inevitabile:

They found him slumped against the steering wheel
with VOLVO printed backwards in his frozen brow.
And they fought in the pub over the toddies
as to who was to take the most credit.

Him who took the aerial to a hawthorn twig?
Him who figured out the contour of his car?
Or him who said he heard the horn, moaning
softly like an alarm clock under an eiderdown?

[Lo hanno trovato con la faccia schiacciata sul volante
VOLVO stampato al contrario sulla fronte congelata.
E si litigò mica poco al pub con i punch caldi in mano
su chi dovesse assumersi la gloria.

Quello che aveva scambiato l'antenna per un ramo di biancospino?
Quello che aveva indovinato il contorno dell'automobile?
Oppure quello che diceva di avere sentito il clacson lamentarsi
piano come una sveglia sotto la trapunta.]

Dove la calda "familiarità" dell'ultima immagine stride contro l'immagine tra "horror" e il comico dell'uomo con la scritta VOLVO del volante stampata sulla fronte.
Per una vena ancora più straniata con immagini, metafore, similitudini che si rincorrono al limite del barocchismo si veda At Sea, oppure la lirica che dà il titolo all'intera raccolta Zoom.
Non manca mai nella poesia di Armitage (e in questo l'esperienza lavorativa come educatore è stata di grande rilevanza - il tv poem Xanadu nasce da qui) un accenno al mondo dei meno fortunati, uno sguardo umanissimo sulla società che soffre ai margini (e in questo gli è stato buon maestro il "vicino di casa" Tony Harrison).
Si veda la chiusa di Social Inquiry Report - sempre da Zoom:

I lent weight to his side of the story
but they sent him down. In the hoding-cell
he shook like a leaf but freigned a handshake
to palm me two things: a key to his house

to turn off the water, and a fiver
for dog food and a gallon of petrol.

[Sostenni in tutti i modi la sua versione dei fatti
ma lo mandarono in galera. Nella cella del tribunale
tremava come una foglia ma finse una stretta di mano
per passarmi due cose: la chiave di casa

per chiudere l'acqua e una banconota da cinque
per il cibo del cane e un gallone di benzina].

E nemmeno manca quella linea "confessional" dove l'Io del poeta racconta di se stesso senza rete. Evitando sempre, tratto caratteristico della poesia di Armitage, i territori paludosi dell'ovvio e dello scontato. Come nel I della serie dei Book of Matches:

My party piece:
I strike, then from the moment when the matchstick
conjures up its light, to when the brightness moves
beyond its means, and dies, I say the story
of my life -

dates and places, torches I carried
a cast of names and faces.

[Il mio numero consueto ai party:
L'accendo poi, dal momento in cui il fiammifero
evoca per magia la luce, sino a quando la luminosità si muove
oltre i proprio confini e muore, io racconto la storia
della mia vita -

date e luoghi, gli amori
diversi nomi e volti...]

O come nella bellissima In our Tenth Year [Nel Nostro Decimo anno]:

This book, this page, this harebell laid to rest
between these sheets, these leaves, if pressed still bleeds
a watercolour of the way we were.

[Questo libro, questa pagina, questo fiore messo a riposare
tra questi fogli, queste foglie, se pressata ancora secernono
l'acquerello di ciò che eravamo allora]

dal ritmo e dal lessico antichi e preziosi e tenui come l'acquerello del tempo. Armitage nella sua capacità di cambiare, di mutare, approfondire, alleggerire la propria scrittura poetica senza mai stravolgere il proprio modo di essere rappresenta uno dei nomi sui quali la poesia inglese del futuro può scommettere sin da ora.


3. Elizabeth Garrett: fuori dal tempo
(Testi in appendice)

Against the World's Going [Contro La Dipartita del Mondo]
Ter Boch to his students [Ter Boch ai suoi studenti]


La poesia della Garrett sembra un grido fuori dal tempo lanciato Against the World's Going [Contro la Dipartita del Mondo] dal titolo di una delle sue liriche contenute in The Rule of Three. Un mondo disgregato, informe, privo di quell'equilibrio basato sulla bellezza, sull'eleganza, sull'amore che sembrano, nella poesia della Garrett essere gli elementi portanti dell'esistenza. La poesia della Garrett si muove sul bilico tra suono e significato. I suoi interessi di pittrice e musicista (a quanto ci racconta nel volumetto della Poetry Review dedicato a The New Generation Poets) non completamente riusciti trovano nella sua scrittura un punto ideale di fusione. La capacità di ascoltare e di fare vibrare il verso - spesso breve ma sensuale - lo sguardo pulito ereditato da certi maestri italiani tra quattrocento e cinquecento (da Piero della Francesca a Tiziano - è lei stessa a citarli in alcune sue liriche) costruiscono liriche fuori dal tempo, fuori dalle mode. Non estranea a questa sua condizione di "isolata" nel panorama della poesia inglese contemporanea (si pensi alle voci più affermate di Carol Ann Duffy o a Wendy Cope) è forse l'essere cresciuta nelle Channel Islands - isole che appartengono all'Inghilterra ma che sono, geograficamente più vicine alla Francia. Invitata a fare tre nomi di poeti di questo secolo che maggiormente hanno influenzato la sua scrittura la Garrett risponde: Robert Graves, John Berryman e... "I have to struggle to name a third, the more pronounced influences (especially John Donne) belonging not to the twentieth century." [Difficilissimo, per me, fare il nome di un terzo poeta dal momento che le influenze più forti (John Donne, in particolare modo), non appartengono al ventesimo secolo].
Come rispondere, come tentare di rimettere in equilibrio alcune delle forze che minacciano il creato?

Silence; a drowned dusk;
This dwindling earth a pebble
Rolled and rubbed
Beneath heat, like waves,
Or hands on a grain of wheat,
A crumbling husk,
Inexorably rubbing.

[Silenzio; un crepuscolo affogato;
questa terra che si consuma
come un ciottolo sfregato e sgretolato
sotto il sole, come dalle onde,
o come dalle mani su un chicco di frumento,
che sfregano incessanti
la pula che si sbriciola.]

L'immagine pulita, dai contorni netti come una cornice sembra uscire davvero dalla penna di un John Donne; lo stesso vale per la cadenza ritmica; raffinata ed elegante senza mai perdere il senso della misura, una suite di Bach per violoncello solo.
Cerchiamo di fermare il mondo nella sua inconsapevole irrimediabilità, nel suo lento ed inesauribile fluire del tempo: still life; you can't - [ferma la vita; non puoi]. Dove il gioco di parole tra still life che in inglese significa sia sintagmaticamente "natura morta" che, svolgendo le due parole nel verbo to still: fermare e il sostantivo life: vita - diventa "ferma la vita", tradisce molta dell'abilità tipica del wit metafisico.
Come cerca di insegnare il pittore olandese del seicento Ter Borch ai suoi allievi (in Ter Borch to his Students):

This is not a matchbox trick.
I'm asking you to balance three
Spheres on the ridge of a pyramid -
Two on the slope and one at the apex.
Consider this your matrix.

[Questo non è il trucco della scatola dei fiammiferi
Vi sto chiedendo di mettere in equilibrio
tre sfere sul lato di una piramide -
due sullo spigolo ed una all'apice.
Consideratelo come vostra matrice.]

Qui la Garrett ci sta raccontando qualcosa di più di un aneddoto. In quell'equilibrio tra le tre sfere sta il varco che permette di balzare fuori. Ed assomiglia ad una regola da perseguire. Di qui il titolo dell'unica, sino ad ora, raccolta della poetessa: La Regola del Tre (per i tipi, ovviamente, della Bloodaxe). Contro il mondo che si disgrega nel fluire del tempo, occorre costruire un ritmo sottile in forma di equilibrio, fosse anche solamente un raffinato gioco geometrico, un'abile versificazione fragile di ragnatela. La Garrett non si nasconde la fatuità di questo serissimo gioco ma non per questo rinuncia ad una fede ultima ad una extrema ratio che descrive perfettamente la sua poesia.

Though pyramids return to sand
And worlds from their orbits topple,
Still holds this ratio of faith, blind
As the stars in their ecliptic, simple
As a child's hands round an apple.

[Sebbene le piramidi ritorneranno alla polvere,
e i mondi cadranno dalla loro orbita,
ancora regge questa ratio di fede, cieca
come le stelle nella loro ellittica, semplice
come la mani di un bimbo intorno ad una mela.]

La poesia della Garrett sembra una ragnatela esile e sottile tesa per catturare l'ellittica di una stella. Tra orbite ed ellittiche c'è però spazio anche per uno sguardo all'umano carico di sensualità tersa, con quella capacità di combinare forma classica e spirito romantico che fu una delle caratteristiche della lirica di Robert Graves. Come bene scrive Gregory Dowling: "la Garrett ha un senso acutissimo del corpo, e immagini che ricorrono sono quelle del seno femminile e della mano tesa a forma di coppa. Esse combinano l'erotismo con un suggerimento di qualcosa di puro e di generoso (si pensi alla rappresentazione tradizionale della figura della Carità nell'arte)." Ne abbiamo un esempio in Imago - anche se l'inizio segna un distacco:

When I returned
You had the stillness of the garden
On you. No-one called,
You said, but the silence -
Through the bees passed through like merchants
With their sacks of gold.

[Quando sono tornata
tu avevi la quiete del giardino
su di te. Nessuno era venuto,
mi hai detto, tranne il silenzio -
sebbene passassero le api come mercanti
coi loro sacchi d'oro.]

Ma ecco il finale. Dove, come scrive la stessa Garrett: "If an image strikes it must also go on resounding." [Se un’immagine colpisce deve anche continuare a risuonare]. Appare chiara dunque, ancora una volta, questa fusione di immagine (ricamata nel contenuto) e di sonorità. Deve continuare a risuonare, dice la Garrett. Johann Sebastian Bach scrivendo la densa linea melodica delle sue suites per violoncello doveva pensare a qualcosa di simile. Come cercare di fare "risuonare" polifonicamente, nella sovrapposizione delle voci, un'unica linea sonora disegnata dal violoncello. L'ultimo suono lasciato a muoversi nell'aria in forma di onda viene catturato, armonizzato, messo in contrappunto, con il suono che lo segue. La polifonia non si vede sul foglio di musica. Ma c'é.

Hours later,
With a lepidopterist's cool passion
You recalled the one visit:
How, when the Painted Lady
Settled on your heart, her thorax thrilled
with the listening of it.

[Ore dopo,
con la calma passione di lepidotterista
ti sei ricordato dell'unica visita:
di quando la Signora Dipinta (si tratta di una farfalla)
si posò sul tuo cuore e il suo torace
ne tremava all'ascolto.]

Il torace della farfalla, non a caso dipinta, trema, ascoltando il battito regolare del cuore. E lo sente anche il lettore nelle allitterazioni del verso your heart, her thorax thrilled. A conferma che la Garrett, come afferma, pensa con la lingua.
Non tutto come si è detto, è idillico. Anzi, lo scontro sembra essere perso nonostante l'elegante musica con la quale si cerca di fermare il tempo. La Garrett conosce anche il lato oscuro; da Wedding Breakfast [Rinfresco Nuziale]:

Still life: you can't. Eve the light
Is mortal. Death is the bride in white
Tasting first fruits of loss; the slow
Ripening of cherries, blood-bright.

[Ferma la vita: non si può. Persino la luce
è mortale. La morte è la sposa in bianco
che assaggia i primi frutti della perdita; il lento
maturare delle ciliegie, lucenti come il sangue.]

Ma la calma, alla fine, regna sovrana. Anche il maturare delle ciliegie è lento seppure nel generale senso di perdita, nel rosso del sangue pronto a schizzare. Calma, come quello nello scrivere versi. La Garrett - come già detto - ha all'attivo un'unica raccolta di versi pubblicata nel 1991 dalla Bloodaxe. Sappiamo che in quell'esile volume la poetessa ha raccolto gli sforzi di dieci anni. La pubblicazione sull'ultimissimo numero della Poetry Review (Volume 87 n° 4 Winter 1997/98) di due poesie inedite fa supporre la prossima uscita di una nuova raccolta. Vorremmo concludere con l'immagine offerta dagli ultimissimi versi della raccolta; la poesia ha il titolo di History goes to work. Sono il commento migliore, il congedo migliore dalla poesia di Elizabeth Garrett:

Remorse rests in its velvet drawer
Lapped in the sleep of metaphor,
The soul rests in the open palm
And will not put its shell back on,
And calmly waits for more.

[Il rimorso riposa nel suo cassetto di velluto
avvolto nel sonno della metafora,
L'anima riposa nel palmo aperto
e non indosserà corazza alcuna,
aspettando, con calma, altro ancora.]


4. Glyn Maxwell: il serissimo gioco delle parole
(Testi in appendice)

Just like us [Proprio come noi]
We billion cheered [Noi, un miliardo, acclamavamo]


Anche Glyn Maxwell (classe 1962 all'attivo tre raccolte di versi per la Bloodaxe - Tales of the Mayor's Son, 1990 - Out of the Rain, 1992 - Rest for the Wicked, 1995; un volume con tre drammi in versi per la Chatto & Windus Gnyss the Magnificient,1993 e un romanzo di buon successo Blue Burneau - sempre Chatto & Windus, 1993) si presenta bene da sé dalle pagine di The New Generation Poetry. Raccontandosi con quel gusto per il divertimento denso di umama empatia che caratterizza la sua scrittura dichiara il suo "delight in English, delight in form, delight in Auden and Frost" [piacere per la lingua inglese, per la forma, per Auden e Frost]. E nelle righe conclusive: "wanting to impress, wanting to be liked, wanting to make a living making myself happy. I am." [Desiderio di impressionare, di essere apprezzato, di guadagnarmi da vivere ed essere felice allo stesso tempo. Lo sono]. Non so davvero quanti poeti potrebbero lasciarsi andare ad affermazioni del genere. Ma questo è Glyn Maxwell; anche quando dichiara che prima di ogni poesia è venuta la musica, quella di Bob Dylan. Gli studi interrotti ad Oxford, il lungo seminario di poesia con il poeta caraibico (premio Nobel per la letteratura) Derek Walcott completano l'immagine esuberante, a tratti eccessiva ed incontenibile di Glyn Maxwell. Ci sono pagine nel volume pubblicato nel 1995 insieme all'amico Simon Armitage - si tratta di un viaggio in Islanda sponsorizzato dalla Faber and Faber che ne ha poi pubblicato un volume dal titolo Moon Country - Further Reports from Iceland sulle orme delle celebri corrispondenze di Auden e MacNeice che nel 1937 avevano seguito lo stesso itinerario - davvero al fulmicotone.
Maxwell dimostra una padronanza della lingua inglese nelle sue più recondite sfumature, un'abilità formale nell'impiego di rime, strofe, metri della più varia natura, una capacità di impiego di registri stilistici diversi che lo rendono un "riassunto vivente" di molta della poesia anni novanta in Inghilterra.
C'è l'aneddotica in stile colloquiale - e dunque vicino alla prosa (di cui anche Armitage è padrone assoluto), c'è il ritorno alla forma chiusa come elemento caratterizzante di molta poesia anni novanta (si vedano la Greenlaw e la Garrett qui citate), c'è quel sapore di "performance" dal gusto teatrale (che avevamo visto in Tony Harrison, ad esempio) e che ha fatto il successo di molti "stand-up comic" (l'attore comico da monologo alla Paolo Rossi, per intenderci). Gli anni novanta sono per elezione gli anni "pubblici" della poesia con un numero di poetry readings sempre più alto. Ma c'è nella poesia di Maxwell anche quella "politica" quotidiana scevra dalle grandi ideologie ma non per questo umanamente meno empatica di molta della New Poetry. Il sociale (e lo avevamo visto anche per buon parte della poesia irlandese per così dire della prima generazione - i vari Heaney, Longley, Mahon) è dietro l'angolo nell'ennesimo barbone che dorme dentro all'ennesima scatola di cartone. Nello sguardo completamente instupidito dei milioni di occhi che fissano l'ennesima puntata dell'ennesima soap opera.
È esattamente quanto succede in Just like us [Proprio come noi] dalla prima raccolta di Maxwell, Tale of the Mayor's Son. Satira al vetriolo della felicità forzata, ricco borghese, bianca, ripetitiva tipica delle soap opera:

It will have to be sunny. It can rain only
when the very plot turns on pain and postponement,
the occasional funeral. Otherwise perfect.

It will have to be happy, at least eventually
though never ending and never exactly.
Somebody must, at the long-last party,

veer to the side to remeber, to focus
All will always rise to a crisis,
meet to be shot for a magazine Christmas.

It will also be moral: mischief will prosper
on Monday and Thursday and seem successful
but Friday's the truth, apology, whispered

love or secret or utter forgiveness.

[Dovrà esserci il sole. Potrà piovere solo quando
la trama stessa parlerà di dolore e di rinuncia,
o di un occasionale funerale. Altrimenti sereno.

Dovrà essere felice, almeno alla fine,
mai senza fine o mai precisamente.
Qualcuno dovrà, a quella festa lungamente attesa,

girarsi da una parte e ricordare, mettere a fuoco.
Tutto convergerà sempre verso una crisi,
e che sia adatto ad un Natale da rotocalco.

Sarà anche morale: il male trionfa
lunedì e giovedì, e sembrerà vincere,
ma di venerdì vince la verità, la confessione,

l'amore sussurrato o nascosto il totale perdono].

E il titolo ambiguo ci ricorda che non siamo davvero tenuti a guardare le cose troppo dall'alto perchè in fondo anche loro sono "proprio come noi". Ma il finale ci invita a guardare fuori dalla finestra. Come spesso, in Inghilterra piove. Non come negli interni patinati degli sceneggiati televisivi:

... and the rain
falls to England. You will have to wait
for the sunny, the happy, the wed, the white. In

the mean time this and the garden wet
for the real, who left, or can't forget
or never meant, or never met.

[... e cade la pioggia
sull'Inghilterra. Dovrete aspettare
i baciati dal sole, i fortunati, gli sposi, i bianchi. Nel

frattempo c'è questo e il giardino bagnato
per la gente vera, che se ne andò o che non dimentica,
o che non ne aveva l'intenzione, o che mai si incontrò.]

E Maxwell è al meglio, anche se il verso si fa più oscuro, quando a dominare sembra essere la cadenza, la rima, il desiderio, seppure nel rimpianto, di farsi portare, cullare dalle parole; nella rima wet/met/forget; in quell'ambiguità semantica di never meant [mai ebbero l'intenzione] che si trasforma in never met [mai si incontrarono].
Siamo davvero vicini ad Auden e non solo per l'aspetto formale. Come afferma lo stesso Maxwell, infatti: "Auden rappresenta un monumento durevole alla differenza, alla pietà, alla molteplicità del vero e alla moralità dei diversi."
Come bene nota Dowling: "Un tema ricorrente nelle sue opere è il pericolo del conformismo sconsiderato, che sia imposto dalla violenza politica o dai metodi più insidiosi delle soap-operas o della pubblicità televisiva." In questa sua ricerca di "molteplicità di punti vista" resi anche dialogicamente all'interno del medesimo testo grazie ai meccanismi noti quali lo straniamento, la complicazione ed opacizzazione formale, Maxwell si avvicina, seppure in un modo personalissimo ad alcune delle istanze che avevamo messo in evidenza nel corso della terza lezione allorché era stata la martian poetry di Raine e Reid ad essere presa in considerazione.
Ed anche il rischio che corre lo avvicina ai limiti espressi da quella poesia: eccessiva teatralizzazione, estetismo ed autocompiacimento dell'Io poetico che si contempla allo specchio e si trova bello, bravo, abile giocoliere di parole e suoni. Non è un caso che anche Maxwell abbia scritto per il teatro. E questo è chiaramente avvertibile nel suo "You" rivolto al lettore/spettatore con il quale il poeta stabilisce rapporti che, come è stato scritto, un po' audacemente variano dal "conspiratorial" al "meretricious" e dunque dal "cospirativo" al "di meretrice" - inteso di relazione con il cliente.
Ma quale lettore non avverte il ritmo che lo trascina sin dentro quella minaccia oscura che sfugge a tutti e che alla fine forse, ci distruggerà:

We billion cheered
some threat sank in the news and disappeared.
It did because
currencies danced and we forgot what it was.

[Noi, un miliardo, acclamavamo.
Una minaccia affondò nelle notizie e scomparve.
Lo fece perché
le valute danzavano e noi la dimenticavamo.]

E poco oltre:

We missed it elbowing into the harmless joke
or dreams of our
loves asleep in the cots where the dolls are.
We missed it how
You miss an o'clock passing and miss now.

[Ci sfuggì sgomitando in battute innocue
o nei sogni dei nostri
amori addormentati nelle culle dove stanno le bambole
Ci sfuggì come
ti sfugge un'ora che passa e l'adesso ti sfugge].

Dove l'allegoria ci rimanda alla drammatica disattenzione con la quale certe minacce non comprese, sottovalutate, schiacciate sotto il peso dell'indifferenza o della grassa risata tra amici, possa nascondere l'incombenza di una grande catastrofe (e Maxwell ha scritto testi molto densi e belli sulla guerra in Bosnia; si vedano The Sarajevo Zoo, e The Allies in Rest for the Wicked, l'ultima raccolta in ordine temporale).
Certo la prima persona singolare o quella plurale usate per attirare il lettore all'interno del gioco poetico possono essere rischiose (e lo abbiamo visto nell'introduzione). Ma è un rischio che si può correre quando il soggetto in questione è così "pericoloso".

5. Lavinia Greenlaw: l'immagine sgranata di una fotografia notturna
(Testi in appendice)

Night Photograph
Reading Akhmatova in Midwinter


Si racconta la Greenlaw (dalle pagine del già citato volume monografico della Poetry Review dedicato ai New Generation Poets) in una breve passo autobiografico che va sotto il titolo di The Cost of Getting Lost in Space [Il costo del perdersi nello spazio]. In forma di aneddoto ricorda di come fosse rimasta estasiata da una foto catturata con un telescopio ad alta definizione di una porzione di cielo. Il fratello le mostrava piccoli punti lattiginosi, galassie, sistemi planetari. E lei se ne esce con questa frase: "Even using one of the best lenses you can get, it is grainy and vague as an old television screen after closedown. [E anche utilizzando le migliori lenti disponibili, l'immagine che ne ottiene è sgranata, indistinta, come quella di vecchio televisore dopo il segnale di fine trasmissioni.].
Il primo dato da registrare è questo desiderio di conoscere; un'indicazione di metodologia. La Greeenlaw impiega una curiosa tecnologia poetica per indagare tutto quanto esiste là fuori, anche se ha già compreso che l'impiego di lenti sofisticate non è sinonimo di successo assicurato. E poi nel finale: "I don't know where poems come from. I spent a long time wandering around in outer space trying to make some sense of what goes off the map, beyond the human scale, but also struggling with ways in which we make sense at all. Now I've moved back to within a mile of where I was born. I need more sleep." [Non so da dove venga la poesia. Ho passato così tanto tempo in giro per lo spazio là fuori cercando di trovare un significato a quanto accade fuori dalle mappe, oltre la consueta e umana unità di misura; ma anche lottando con il modo in cui cerchiamo di trovare per noi un qualsiasi significato. Adesso sono tornata nel giro di un miglio da dove sono nata. Ho bisogno di dormire ancora un po'.]
Possiamo lavorare su questi pochi elementi. Il bisogno di confrontarsi con quanto succede all'esterno del proprio mondo, un certo approccio "scientifico", "esatto" (anche con la consapevolezza che i risultati che si otterranno saranno "vaghi", "sgranati" necessariamente fuori fuoco). E poi il bisogno di qualcosa di "più caldo": il sonno, la casa. Fare rientro in sé stessi. È un passaggio chiave della poesia della Greenlaw: segna - o tenta di farlo - lo scarto tra la prima raccolta Night Photograph del 1993 e la seconda A Night Where News Travelled Slowly pubblicata nel dicembre del 1997 (entrambe per la Faber and Faber).
La Greenlaw della prima raccolta sembra essere alla ricerca di un "miracolo esatto". E nulla la scalfisce, mina questo suo senso di ricerca. Anche se sulla strada di Gerico l'automobile sulla quale viaggia viene superata da tre missili. Scrive in Linear, Parallel, Constant [Lineare, Parallela, Costante]:

Driving down to Jericho
my car was overtaken
by a trio of missiles.
This was a precise migration -
linear, parallel, constant.
An exact miracle
on a straight road
over flat land
under clear sky.

[Guidando verso Gerico
la mia automobile venne sorpassata
da un trio di missili.
Questa era una migrazione precisa -
lineare, parallela, costante.
Un miracolo esatto
lungo una strada diritta
su una terra piana
sotto un cielo limpido.]

Sono gli aggettivi a dominare la scena: linear - parallel - constant - exact - straight - flat - clear. Sono una buona definizione di quanto la Greenlaw sta cercando di ottenere con la propria ricerca poetica. Senza troppo curarsi - la domanda è immediata leggendo la lirica - di dove andranno a finire quei missili, se uccideranno qualcuno. Senza troppo curarsi dunque di una certa "freddezza" dello sguardo. Pare di intuire che si tratta di una difesa; il timore che l'Io possa prendere la mano e dilagare sul foglio sporcandolo di un eccesso di soggettività.
Scrive di Anna Achmatova, la poetessa d'elezione per la Greenlaw: "Akhmatova insisted on clarity... she had an architectual sense of structure, and a clear eye that was turned on herself as on the rest of the world" [L'Achmatova insisteva sulla chiarezza ... era in possesso di un senso architettonico della struttura, di una visione chiara rivolta sia a se stessa così come al resto del mondo]
Dove, come spesso capita ai poeti che parlano di altri poeti, in realtà si è alla ricerca di indicazioni di percorso capaci di definire il senso di una ricerca propria. E qui la Greenlaw è ancora un passo indietro; la pulizia formale rischia la freddezza e quando l'Io irrompe sulla pagina non ha l'eleganza confessionale ma trattenuta, ad esempio, dei Life Studies di Robert Lowell (altro autore citato dalla Greenlaw come fonte di ispirazione). Nella poesia dell'Achmatova tuttavia, in quella sua capacità di rinnovare la quotidianità, senza ricorrere agli eccessi futuristici di Majakovskij, la Greenlaw trova davvero una guida spirituale. Ed è curioso che la poetessa inglese abbia scoperto dapprima i testi "Acmeisti" e dunque prima maniera dell'Achmatova (erano gli anni in cui era sotto accusa; Sklovskij dice di lei "Il mondo dell'Achmatova è angusto come una striscia di luce penetrata in una stanza buia."). E solo dopo abbia letto quelli più impegnati da Requiem a Poema senza Eroe, trovando in quei testi quel coraggio, quella forza morale, quella volontà di testimoniare e scrivere nonostante tutto che rimangono esempi rari in tempi in cui i poeti d'Inghilterra non vivono certo quelle condizioni estreme (l'Achmatova dopo la II guerra mondiale fu espulsa dall'unione degli Scrittori Sovietici per avere scritto "versi estranei allo spirito del popolo sovietico"), le venne fucilato l'ex-marito Gumilev dal quale aveva avuto un figlio Lev, poi incarcerato.
Lavinia Greenlaw persegue dunque questo distaccamento, questa chiarezza di sguardo e molti dei titoli della prima raccolta sono un richiamo continuo ad una presunta oggettività scientifica: The Astronomer's watch, Galileo's Wife, Beyond Gravity, Science for Poets. Anche se, come succede in quest'ultimo testo, la poetessa si rende conto della tensione e del contrasto che sta poeticamente affrontando:

Now I watch you
measuring deep into decimal places to record
each molecular shift, in search of an answer

or an answer that fits,
or else in hope of some wild elinghtenment
that without your eye for detail, I'd surely miss.

[E ora ti osservo
mentre affondi le misurazioni in luoghi decimali per registrare
ogni mutamento molecolare, alla ricerca di una risposta,

o di una risposta che calzi
oppure con la speranza di una qualche illuminazione selvaggia
che senza il tuo occhio per il dettaglio, mancherei, sicuramente, di cogliere.]

La poesia della Greenlaw non è fatta solo di questo. La lirica di apertura di Night Potograph si apre con la bizzarra immagine di Monk on a Tractor - un monaco su un trattore. La quotidianità, al limte dell'aneddotica, è anch'essa una costante tematica.

The monks on Caldey make perfume and chocolate.
They watch each other grow old
and draft adverts for new recruits.

From April to September, they are surrounded.
The pleasure boat brings holidaymakers
who tidy their faces as they go through the gate,

unprepared for a monk on a tractor
and another hanging underwear on a line.

[I monaci di Caldey producono profumo e cioccolata.
Si osservano invecchiare l'un l'altro
e abbozzare annunci pubblicitari per novizi.

Da Aprile a Settembre, sono circondati.
La nave da diporto trasporta i vacanzieri
che si stropicciano gli occhi oltrepassando il cancello,

impreparati di fronte ad un monaco su un trattore
e un altro che stende biancheria sul filo.]

Ma è quando il contrasto tra chiarezza di visione e incapacità di fissare il fuoco della profondità si fa più deciso che la poesia della Greenlaw sale di tono. Come nella lirica che chiude la raccolta e le dà il titolo: Night Photograph [Fotografia notturna]. Racconta di un viaggio sul Canale della Manica, di notte:

What cannot be pictured is the depth
with which the water moves against itself,
in such abstraction the eye can find

no break, direction or point of focus.

[Ciò che non può essere ritratta è la profondità
con la quale l'acqua si muove contro se stessa,
in un'astrazione tale che l'occhio non riesce a trovare

pausa, direzione o punto di messa a fuoco.]

Sta in quel punto la fine della mappa, il limite oltre il quale è impossibile riprodurre l'immagine. Su questa coscienza di un limite, su questa profondità come senso di straniamento del luogo è costruita molta della poesia dell'altra voce poetica che la Greenlaw riconosce come fonte di ispirazione e influenza: quella della poetessa americana Elizabeth Bishop (specie di nume tutelare per moltissimi dei venti autori selezionati da The New Generation Poetry). Non è difficile rintracciare dai testi come The Map in North & South, Questions of travel dall'omonimo libro, In the Waiting Room da Geography III quel contrasto tra un'immaginazione ricchissima e il freno quasi "metafisico" che la poetessa americana seppe mettere ai propri versi. Basta questo per dire quanto la Bishop (che condusse una vita randagia sia interiormente che esteriormente tra New York, il Brasile, la Florida e Boston), proponesse anch'essa, nella propria poesia quella tensione che è caratteristica della poetessa inglese.
Warmer (più caldo) è il titolo della recensione che Tim Kendall dedica alla Greenlaw nel volume 87 n.4 1997/98 della Poetry Review. La Greenlaw, come ci ha detto ella stessa nell'intervista citata poco sopra, ha cercato di ritornare ad una dimensione meno "chilly" e ad uno sguardo che possa finalmente permetterle di accarezzare le cose e se stessa. Secondo Kendall anche in questa seconda raccolta la Greenlaw rimane "a major poet waiting to happen"; World Where News Travelled Slowly [Un mondo dove le notizie viaggiavano lentamente] è un ottimo libro ma non ancora quello della consacrazione definitiva. Se la poetessa inglese abbia trovato una dimensione più "calda" è difficile dire (ammesso che sia poi quella la dimensione nella quale possa esprimersi al meglio), quello che più conta è la robustezza di una voce che ci viene restituita integra, senza nessuna intenzione di mollare la presa. Dalla bellissima Reading Akhmatova in Midwinter sappiamo che la poetessa russa è ancora il faro che guida nel buio:

How did you cross
those unlit, reivented streets
with your fear of traffic and your broken shoe?

[Come facevi ad attraversare
quelle strade male illuminate, reinventate
con la tua paura del traffico e le tue scarpe a pezzi?]

Il ghiaccio è ancora lì pronto a fissare le cose, la neve continua a scendere come in Snow Line:

There is snow, feet deep on the overheated hill
and falling. I walk slowly, lie down in it with care.

E c'è neve, alta fino alla caviglia, sulla collina in eccitazione
e scende. Cammino lentamente, mi ci stendo con attenzione.]

C'è il ghiaccio, c'è la neve, ma non manca l'attenzione: ed è forse questa la lezione più interessante della poesia della Greenlaw. E forse, per quanto riguarda il tepore invocato da Kendall, è sufficiente quel Late Sun [Sole Tardo] con il quale si chiude la raccolta.

Bibliografia
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- Ian Hamilton (a cura di), The Oxford Companion to Twentieth Century Poetry, Oxford University Press, Oxford 1994
- Michael Schmidt, Reading Modern Poetry, Routledge, Londra e New York 1989
- Ian Gregson (a cura di), Contemporary Poetry and Postmodernism - Dialogue and Estrangement, MacMillan Press Ltd, Londra 1996
- Gary Day e Brian Docherty (a cura di), British Poetry from the 1950s to 1990s - Politics and Art, Routledge, Londra e New York 1997
- Jo Shapcott e Matthew Sweeney (a cura di), Emergency Kit - Poems for Strange Times Faber and Faber, Londra 1996
- Martin Booth (a cura di), Contemporary British and North American Verse, Oxford University Press, Oxford 1994
- Elizabeth Bishop, The Complete Poems 1927-1979, The Noonday Press, New York 1983
- Robert Lowell, Selected Poems, Faber and Faber, Londra1965
- Gregory Dowling e Alessandro Scarsella (a cura di), Giovane Poesia Inglese, Edizioni del Leone, Venezia 1996
- In Clandestino 4/1/97 pp. 14- 23 "Simon Armitage - Sul lato disfatto del mio letto" - introduzione e traduzioni a cura di Luca Guerneri
- Poetry Review Vol. 83 N°2 - Summer 1993
- Poetry Review New Generation Poets - Special Issue 1994
- Poetry Review Vol. 87 N°3 - Autumn 1997
- Poetry Review Vol. 87 N°4 - Winter 1997/98
- Simon Armitage, Zoom, Bloodaxe, Newcastle 1989
- Simon Armitage, Xanadu - a Poem Film for Television- Simon Armitage, Zoom, Bloodaxe, Newcastle 1989
- Simon Armitage, Kid, Faber and Faber, Londra 1992
- Simon Armitage, Book of Matches, Faber and Faber, Londra 1993
- Simon Armitage, The Dead Sea Poems, Faber and Faber, Londra 1995
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- Simon Armitage, Gly Maxwell, Moon Country - Further Reports from Iceland, Faber and Faber, Londra 1992
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- Glyn Maxwell, Mick Imlah, Peter Reading, Penguin Modern Poets n° 3, Penguin Londra 1995
- Lavinia Greenlaw, Night Photograph, Faber and Faber, Londra 1993
- Lavinia Greenlaw, A world Where News Travelled Slowly, Faber and Faber, Londra 1997

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