poesia inglese: anni '70 e '80

TRADIZIONE E RINNOVAMENTO
NELLA POESIA INGLESE
DAGLI ANNI '50 AGLI ANNI '90


Da Tony Harrison ai "Martians" di Raine, tra impegno e riflusso.
Gli anni settanta e ottanta



25 febbraio 1998

1. Da Tony Harrison ai "Martians" di Raine, tra impegno e riflusso. Gli anni settanta e ottanta.

1.1. Introduzione: gli anni settanta
Basta scorrere rapidamente la cronologia delle opere principali pubblicate nel corso degli anni settanta per notare come in apparenza, a parte Tony Harrison e qualche voce femminile di cui discuteremo di seguito, la poesia "inglese" (nel senso di scritta in inglese da inglesi - la distinzione comincia a farsi importante) attraversi una fase di transizione. Voci quali quella di Ted Hughes, Geoffrey Hill continuano a farsi sentire proseguendo in quella direzione di verticalità che abbiamo analizzato nel corso della seconda lezione; ma anche i poeti del Movement sono ancora in attività: nel 1974 Philip Larkin dà alle stampe High Windows, Thom Gunn pubblica Moly (1971) e Jack Straws Castle (1976). Lo stesso Donald Davie, dapprima teorico del Movement, poi critico nei confronti di molte delle istanze che lui stesso aveva contribuito ad alimentare, pubblica diverse raccolte di versi. C'è in questo senso un'ideale continuità con il passato (oppure un senso di parziale schizofrenia e dissociazione). Larkin non muta certo la sostanza del suo modo di scrivere e lo stesso discorso vale per Davie così come per Hill. Ma, per citare solo i due nomi fatti per gli anni sessanta, sia Hughes che Hill continuano la loro opera da "grandi isolati". Difficile ritrovare negli autori della generazione che comincia a pubblicare versi negli anni settanta qualsiasi tentativo più o meno riuscito di imitazione. Sembra dunque tutto piuttosto tranquillo, un decennio di lento e graduale scivolamento verso il decennio successivo nel quale, effettivamente, nuove voci vengono ad imporsi con qualcosa di originale ed innovativo.
Guardando più da vicino però e proseguendo, come anticipato nella lezione precedente, l'analisi di quel progressivo allontanamento dai centri tradizionalmente deputati alla cultura poetica (mondo accademico e grandi casi editrici) ecco che qualche timido segnale di "diversità" comincia a farsi sentire. Nel 1978, infatti, nasce a Newcastle su iniziativa di Neil Astley la casa editrice Bloodaxe che rappresenterà un serbatoio inesauribile di nuove voci. Grazie anche ai numerosi finanziamenti pubblici che riesce ad ottenere, la Bloodaxe diventa il luogo ideale attorno al quale produrre poesia "nuova". Astley - poeta lui stesso - seleziona nuovi autori a getto continuo, traduce poesia europea, pubblica autori americani. Si tratta, in poche parole, di un'iniezione profonda di forze, idee; la stessa Faber and Faber - come si sa la casa editrice per eccellenza del Regno Unito - si incarica di pubblicare gli autori migliori usciti dalla Bloodaxe.
Nel frattempo, non troppo lontano, a Manchester per la precisione, un personaggio davvero inesauribile come Michael Schmidt (poeta, critico, editore) dà vita all'esperienza della Carcanet Press - un altro nome da ricordare per lo sviluppo della poesia inglese di quegli anni. Sono tutti i segnali di un nord che avanza, di un nord che, economicamente e socialmente sempre più in crisi - anche e soprattutto per via di una politica disastrosa portata avanti dai diversi governi conservatori che si succedono sino alle tre lezioni consecutive che vedono Margaret Thatcher eletta Prime Minister (dal 1975 era diventata leader del Partito Conservatore), ma che nonostante questo riesce a diventare un interessantissimo luogo d'incontro per molti autori emergenti.
Nel 1977, inoltre, prende a pubblicare poesia anche la Virago che già dal nome si segnala come ricettacolo ideale per buona parte della scrittura "femminile" più violentemente contro e dunque femminista o per quella più moderata - post-femminista - di quegli anni.
Il mare della poesia, sulla superficie apparentemente calmo e tranquillo, comincia, in profondità, a dare qualche segnale di agitazione.
Nel 1970 la piccola e misconosciuta London Magazine Edition pubblica i versi di un personaggio piuttosto curioso e ai limiti dell'originalità: si tratta del volume The Loiners di Tony Harrison. Già il titolo pone dei problemi: con il termine loiner infatti si designa in gergo un nativo di Leeds impegnato nell'industria mineraria che caratterizza quella zona dell'Inghilterra. Harrison è in tutto e per tutto sin dagli inizi un poeta - se non il poeta - della working class. In quel libro, ma lo vedremo meglio poco oltre nella parte dedicata più nello specifico alla poesia di Harrison, il poeta racconta la vita di ubriaconi, sbandati, il mondo, in sostanza, che ha popolato la sua infanzia e giovinezza nella città natale. E lo fa con un linguaggio diretto e immediato che per molti risulta scioccante. Filtrata solamente da un uso formale estremamente sapiente e controllato, comincia ad arrivare in poesia la working class che parla una propria lingua riconoscibilissima: la ritroveremo negli anni ottanta e novanta, ad esempio, nel cinema di Ken Loach: da Riff Raff a Raining Stones.
Si diceva della poesia inglese scritta da inglesi: la distinzione non è un cavillo "formale" e nemmeno un tentativo di preservare la "purezza" di qualsiasi idea di dizione, razza o regione. C'è che, ad essere onesti, infatti, molte delle voci davvero nuove che scrivono in inglese negli anni settanta sono quelle di autori scozzesi e irlandesi.
Il primo caso clamoroso è quello di Douglas Dunn: nato e cresciuto in Scozia lavora per molti anni presso la biblioteca di Hull (la medesima nella quale è direttore un certo Philip Larkin); e i suoi primi versi risentono di quell'attenzione allo "sguardo" levato a media altezza che fu la caratteristica principale di Larkin. Ma in Dunn c'è qualcosa di diverso: anche lui come Harrison viene dalla working class - anche lui ha potuto studiare grazie all'Educational Act del 1944 che dava agli studenti meritevoli per profitto ma figli di persone non abbienti la possibilità di proseguire gli studi a livello secondario ed universitario. E allora lo sguardo di Dunn rivolto ai personaggi che popolano Terry Street (questo il titolo della sua prima raccolta di versi pubblicata nel 1969), cattura e racconta l'esistenza diseredata e dimenticata della periferia di Hull, ma anche qualcosa di più. E se il verso è ancora larkiniano, ecco che nelle raccolte successive da Happier Life (1972) passando per l'emblematico Barbarians (1979) sino a St Kilda's Parliament (1981) trova una nuova dimensione formale. Accade, ed è fenomeno che ritroviamo anche in Harrison, che più il tema si fa "basso" più denso, ricercato e quasi barocco si fa l'andamento formale e prosodico. Si è parlato a proposito Dunn di peasant baroque dove il termine peasant significa "contadino" e per accezione più allargata indica tutto quanto non è upper class. Vediamo l'inizio di una lirica breve di Dunn dal primo volume di versi. Porta il titolo significativo di Men of Terry Street [Uomini di Terry Street]:

They come in at night, leave in the early morning.
I hear their footsteps, the ticking of bicycle chains,
Sudden blasts of motorcycles, whimpering of vans
Somehow I am either in bed, or the curtains are drawn.

[Rincasano di notte, escono presto la mattina.
Sento i loro passi, il tintinnare delle catene di bicicletta.
Improvvisi scoppi di motociclette, borbottii di furgoni.
In un modo o nell'altro o sono a letto o le tende sono abbassate].

Dove quanto importa segnalare è la distanza che implicitamente viene sottesa tra gli uomini di Terry Street ingabbiati nei rumori della loro routine quotidiana e il poeta che, pur condividendone luogo di residenza e salario (fa il bibliotecario), sta inevitabilmente e irrimediabilmente da un'altra parte. Scrive versi, racconta quel mondo ma nel momento in cui lo fa avverte la distanza e la separazione. Sente con dolore e sofferenza che quello che sta facendo non verrà compreso da quelle persone alle quali si sente, per estrazione e per modo di sentire, più vicino. Tutto questo assumerà in Harrison momenti di alta e commovente drammaticità. Nel poeta di Leeds sarà il rapporto con la famiglia ad essere cercato di continuo in un movimento di altalenanza ambigua e irrisolta: la falena notturna che si avvicina alla lampada che illumina la notte. Si avvicina sino a toccarla per poi esserne respinta dal calore troppo forte. "Vorrei essere il poeta che mio padre legge" - scriverà Tony Harrison riassumendo in poche parole il senso di questo rapporto mancato.
Sta qui forse una delle chiavi di lettura del decennio: la poesia più originale e vera nasce e si sviluppa da una "differenza". Sia questa di classe e cultura - come accade per Dunn ed Harrison - o per motivi di "genere": come accade per buona parte della Women's Poetry di cui ci occuperemo tra poco. O perché si è alla continua e forsennata ricerca di una nuova prospettiva: verrà con gli anni ottanta e andrà sotto il nome di Martian Poetry.
Nel frattempo era accaduto che il cosiddetto Belfast group di cui avevamo detto nella seconda lezione cominciava dare i propri frutti letterari: nel 1966 Seamus Heaney pubblica la sua prima ed importantissima opera Death of a Naturalist. Lo seguono, a distanza di pochi anni, le opere prime di autori estremamente importanti del panorama contemporaneo nord-irlandese: Derek Mahon (nato nel 1941) pubblica Night Crossing nel 1968, Michael Longley (è del 1939) dà alle stampe - nel 1969 - No Continuing City. Si tratta di una vera e propria Irish invasion: il fenomeno letterario decisamente più importante della poesia "in lingua inglese" degli anni settanta - da questo momento occorre esprimersi in questo modo. E non saranno i soli. Segno infatti che l'Irlanda, superato l'impaccio di un periodo post-yeatsiano e di recupero di una propria identità - seppure frammentaria e conflittuale - è terreno fertile per la nuova poesia.
E i poeti del Nord Irlanda raccontano anch'essi di una profonda e frammentata "differenza": di lingua prima di tutto. Scrivono, come si è detto in inglese, che rimane comunque la lingua del colonizzatore per definizione. Come scrive Heaney in una poesia dall'emblematico titolo di Fodder (da Wintering Out - 1972):

Or, as we said,
fother, I open
my arms for it
again.

[O, come diciamo noi
fother, allargo le braccia
per accoglierlo
nuovamente]
dove sulla parola "foraggio" (Fodder in inglese - Fother in anglo-irlandese) si gioca l'uso del vernacolo, la tensione tra la propria lingua e quella ufficiale che minaccia correttezza dai vocabolari. Sono anni duri e difficili per l'Irlanda del Nord. Il governo inglese stringe la morsa su una situazione ormai ingestibile. Nel 1972, al culmine di questa tensione, durante una marcia di protesta tredici civili che manifestano in favore dell'indipendenza vengano uccisi dalle pallottole dell'Esercito Inglese, ormai di stanza fissa tra Belfast e Derry. È la famosa "Bloody Sunday".
Ma non per questo la poesia irlandese in lingua inglese diventa necessariamente una poesia "politica". E in questo senso, il merito più grande di tanta poesia di Heaney, Mahon e altri è stato proprio quello di fare "politica quotidiana". Di raccontare in profondità quanto accadeva intorno a loro in quegli anni senza la veemenza politica caricata ideologicamente a salve. Si può essere "sovversivi" anche scrivendo, come fa Mahon in una bellissima lirica, di un gruppo di funghi che non molla la presa sull'esistenza in A Disused Shed in Co. Wexford [Un Capanno in disuso nella Contea di Wexford]:

What should they do there but desire?
So many days beyond the rhododendros
With the world waltzing in its bowl of cloud,
They have learnt patience and silence
Listening to the rooks querulous in the high wood.

[E cosa dovrebbero fare se non desiderare?
Così tanti giorni dietro ai rododendri
Mentre il mondo danza un gioco di nuvole,
Hanno appreso la pazienza e il silenzio
Ascoltando le cornacchie querule alla sommità del bosco].

Apprendere la pazienza e il silenzio non significa chiudersi nel tepore del proprio studio e affidare parole di nuvole alla pagina. Significa ricercare un profonda e lucida analisi di se stessi, una specie di pulizia e moralità dello sguardo che rende un poeta come Seamus Heaney, ad esempio, estremamente "sovversivo" e "pericoloso" anche senza la necessità di alzare la voce o parlare all'ombra di qualche bandiera.
A quella prima generazione di poeti ne segue subito un'altra: i nomi sono quelli di Paul Muldoon. Tom Paulin, Ciaran Carson (autori nati a cavallo degli anni cinquanta) che proseguono negli anni ottanta a muoversi nella direzione di ricerca iniziata da chi li ha preceduti, pur non mancando nei loro versi atteggiamenti ostili e di ribellione nei confronti dei "padri" (Heaney in testa).
L'Irlanda è oggi paese estremamente prolifico dal punto di vista letterario. Vi si scrive narrativa che viene pubblicata in tutto il mondo (da Roddy Doyle a William Trevor) passando per una miriade di autori più o meno giovani che hanno fatto definire la situazione come una nuova Irish Renaissance.


1.2. Gli anni ottanta
Nel 1982 la Penguin (a distanza di venti anni dunque da quella di Alvarez di cui si è a lungo discusso nella I e II lezione) dà alle stampe l'antologia The Book of Contemporary British Poetry. Il volume è curato da Blake Morrison e Andrew Motion (entrambi poeti e critici ed entrambi poco più che trentenni) e rappresenta, non solo temporalmente, l'indice di un mutamento che aveva già dato i primi segnali negli anni settanta e che si sviluppa pienamente in questo nuovo decennio che si apre.
Morrison e Motion sanno bene che il loro referente ideale continua ad essere Alvarez. Scrivono: "Our anthology cannot help but be very conscious of Alvarez's: it was enormously influential and its fighting introduction - the attack on 'gentility' and the advocation of the risk taking poetry is rightly famous." [La nostra antologia non può evitare di tenere costantemente presente quella di Alvarez: essa ebbe un'influenza enorme e la sua combattiva introduzione - l'attacco alla 'gentility' e la difesa della poesia che rischia è giustamente famosa.] Ma poi passano a smantellare ad uno ad uno gli assunti teorici di Alvarez affermando, in buona sostanza, che quanto accaduto in quei venti anni di poesia non aveva certo confermato le previsioni del celebre critico.
All'equivalenza tra una poesia alta e una scelta di soggetto necessariamente ispirato alla "gravità dell'argomentazione" predicata dal "vecchio" critico viene sostituito il principio di un ritorno all'immaginazione. Si parla di un cambiamento di sensibilità, si traccia in poche parole quella lunga fase di elaborazione del lutto post-guerra e post-colonie di cui si è detto. Si torna a fare una letteratura dove a prevalere è la "letterarietà". Nel gioco delle tensioni linguistiche - come avviene nella poesia di Harrison e di Dunn - nello sguardo alieno al familiare che contraddistingue la poesia marziana di Raine e Reid.
Motion e Morrison richiedono una poesia pregna di "relativismo" sull'onda del nuovo regionalismo che caratterizza quegli anni (dal Nord Irlanda al Nord dell'Inghilterra). Come bene scrive Julian Stunnard: "Gran parte della poesia inglese odierna, infatti, non si confronta direttamente con le 'forze della disgregazione' anche troppo evidenti nella Gran Bretagna thatcheriana. La risposta contemporanea preferisce seguire il sentiero più obliquo preso da Seamus Heaney, il quale, vivendo come altri poeti dell'Ulster nel violento, diviso e lacerante contesto dell'Irlanda del Nord, ha dovuto decidere in che modo la sua poesia potesse rispondere a tale situazione."
L'attenzione si sposta dunque dalla profondità alla superficie. Ma è una superficie molto poco regolare e pulita; una superficie fatta di gioco e rincorsa dei significanti; una superficie alienante che può essere assimilata solo gradualmente. Siamo in prossimità dello sguardo marziano e alieno, di quel processo di rinnovamento della percezione (in parte di derivazione surrealista) mediante il quale l'abitudine viene scardinata e il lettore viene invitato a guardare la realtà da una nuova prospettiva.
Sul New Statement del 20 ottobre 1978 James Fenton (a propria volta poeta, critico e giornalista) inventò una definizione destinata ad avere grande successo: etichettò la poesia di Craig Raine e di Cristopher Reid "of the Martian School" [della Scuola Marziana].
L'anno successivo, nel 1979, Craig Raine avrebbe pubblicato un volume A Martian Sends a Postcard Home [Un Marziano invia una cartolina a casa] che già dal titolo richiamava quella fortunata definizione. La poesia pesca a piene mani tra pastiche e parodia, alla ricerca di un meccanismo da bricolage che la critica non ha tardato a definire con il termine post-moderno; salvo poi cercare di individuare, con una certa fatica in verità, cosa e quanto questo post-modernismo aveva a che fare con ciò che il modernismo aveva già espresso.
Ma torneremo tra breve su questo discorso allorché prenderemo in considerazione la poesia di Raine più nel dettaglio. Quello che preme sottolineare è che anche la poesia martian tentava di raccontare una "differenza". All'Io larkiniano distaccato e scostante, all'Io di Hughes sporco di fango e terra, sembra succedere un Io che si mette in scena, che si guarda recitare sulle tavole di un palcoscenico o che, da un punto di vista un po' voyeuristico, viene colto nell'attimo in cui si guarda allo specchio.
Si disse allora che la soggettività aveva lasciato il posto alla testualità. E che con l'abbandono della soggettività si era entrati in un mondo ricco "verbalmente", ma cerebrale e costruito a tavolino. Vedremo come nella parte migliore della poesia di Raine questo non succederà. Come il libero sfogo dato alla metafora - anche di arco semantico molto ampio - non necessariamente determini un'esclusione del pathos e dunque del sentimento e dell'empatia.
L'antologia di Morrison e Motion è specchio ideale di questa poetica della "differenza" di cui si è detto. Si apre con Seamus Heaney - riconosciuto come la voce più forte degli anni settanta. Lascia poi spazio ai due poeti "contro" per definizione: Dunn e Harrison - e della natura della loro tensione tra il culturale e il sociale si è detto. Poi sono ancora le voci irlandesi: Derek Mahon, Michael Longley, Tom Paulin. C'è spazio per la poesia marziana di Raine e Reid. E c'è spazio per quello che è l'altro fenomeno rilevante in campo poetico tra gli anni settanta e ottanta: la poesia al femminile. Le autrici selezionate sono diverse per tematiche e stili di scrittura: da Fleur Adcok ad Anne Stevenson, da Penelope Shuttle a Carol Rumens. Anche quella "al femminile " è per necessità una poesia della "differenza". Una poesia di genere che nella sua ricerca più violentemente femminista si risolve ancora in una frammentata e difficoltosa costruzione di una identità. Anche se nel tempo, come accade ad esempio per Anne Stevenson, Carol Rumens e Medbh McGuckian, questa dimensione femminista viene superata in favore di una poesia che è sì "al femminile", ma che non necessita più di dichiararlo ad alta voce ad ogni verso.
1.3. Un fenomeno "nuovo": la Women's poetry
Non interessa in queste poche pagine introduttive entrare nel merito e nella storia di quello che fu il "femminismo" in letteratura. Si intende semplicemente ed in maniera fenomenologica prendere atto che, dagli anni settanta in avanti, il numero delle poetesse che riescono a pubblicare le proprie raccolte di versi crescono con il passare del tempo. Basta un semplice dato statistico: nella più volte discussa antologia di Alvarez edita negli anni sessanta le voci femminile erano due, e per lo più americane: Anne Sexton e Sylvia Plath. In quella che fu per definizione ed elezione la antologia del Movement (The New Lines di Robert Conquest edita nel 1956) l'unica autrice selezionata era stata Elizabeth Jennings. Bene, in questa nuovo The Penguin Book of Contemporary British Poetry l'elenco, finalmente si allunga, nell'ordine: Fleur Adcok, Anne Stevenson, Carol Rumens, Penelope Shuttle, Medbh McGuckian. Sempre poche in rapporto ai quindici autori uomini selezionati, segno tangibile comunque di un fenomeno avvenuto e di cui l'antologia di Morrison e Motion - da buon sismografo poetico - rileva l'accadimento.
E c'è nelle voci antologizzate qualcosa di "poetico" che esula dal genere o da qualsiasi considerazione proto o post-femminista. La poesia di rottura degli anni settanta ha lasciato il passo ad una maggiore consapevolezza, ad un'identità che non ha più bisogno di "difendersi" (o comunque non sempre e ad ogni costo).
E se Fleur Adcok può scrivere testi quali Against Coupling [Contro l'Accoppiamento] o come Advice to a Discarded Lover [Consigli ad un ex amante] nel quale, sono i versi conclusivi, si legge:

If I were to touch you I should feel
Against my fingers fat, moist worm-skin.
Do not ask for charity now:
Go away until your bones are clean.

[Se ti toccassi sentirei sotto le dita
una pelle di verme grassa e viscida.
Non chiedermi compassione adesso:
vattene finché le tue ossa non saranno spolpate].

Ciò non toglie che, come scrive Zuccato: "Nella Adcock c'è un lato battagliero sociale e politico che si manifesta nei testi di interesse ambientale e femminista, anche se il suo è un femminismo più da senso comune che teoricamente agguerrito. Due brevi matrimoni falliti non sono forse del tutto estranei ad una visione dei rapporti con l'altro sesso improntati alla disillusione e all'asprezza: la Adcock è una specialista dei postumi delle vicende amorose, trattati con una lucidità pari solo all'amarezza dello humour."
Un'altra voce interessante emersa intorno ai primi anni settanta è quella di Carol Rumens (prima raccolta: A Strange Girl in Bright Colours, 1973); anche lei è passata da una specie di proto-femminismo in cui a dominare erano tematiche legate all'alienazione femminile all'interno del matrimonio e della vita domestica in generale a una ricusazione dell'etichetta di "scrittrice femminista". In realtà, afferma la Rumens anche la scrittura femminile appartiene alla tradizione. Occorrerebbe a suo avviso, parlare di una tradizione "eterosessuale" della letteratura dove lo sguardo "femminile" va a comporre la variegata trama dei diversi punti di vista. La women's poetry entra in quella possibile definizione di "poetica della differenza" con la quale si è cercato di trovare una chiave di lettura comune alle tante strade prese dalla poesia inglese degli anni settanta ed ottanta, quando con maggiore convinzione si mette alla ricerca di una propria identità. E, come spesso accade (ma questa non è solamente una questione femminile) anche quando manca di definirla sino in fondo. Come avviene nella bellissima A Marriage [Un Matrimonio] nella quale la Rumens osserva una coppia nella ripetizione rituale delle azioni di una vita.

He places an apple in my hand,
then, for a moment, I must become his child.
To look at him as a woman
would turn me cold with shame.

[Mi pone una mela in mano
ed io, per un istante, devo diventare figlia.
Guardarlo come una donna
gelerebbe il sangue dalla vergogna.]
Su questa linea si muove da sempre anche Anne Stevenson. Nella sua raccolta del 1974 Correspondences: A Family history in letters [Corrispondenze: Una storia famigliare via lettera] anche lei è alla ricerca di un'identità femminile. E lo fa scrivendo una serie di liriche che attraversano la storia in forma di scambi epistolari che va dal 1789 al 1972. L'Identità va dunque cercata anche nella storia secolare che lega, ad esempio, madri e figlie, nel continuo scambio di un'eredità di sottomissione e accettazione che lentamente ma inesorabilmente va erodendosi in favore di una nuova seppure dolorosa autonomia.

But the mother smiled and smiled.
She was brilliantly consumed, a sacrifice
sufficient for each summer

Should any daughter blame her?
The mother made her choice.
She said her "no" similing.

She burned the kissed letters.
She spat out the aching seeds.
She chose to live in the light.

Would you wake her again from the ground
where at last she sleeps
plentifully?

[Ma la madre continuava a sorridere.
Se ne andava lentamente ma con brillantezza, un sacrificio
sufficiente per ogni estate.

Chi, figlia, avrebbe potuto biasimarla?
La madre aveva fatto la sua scelta.
Aveva pronunciato il suo "no" sorridendo.

Bruciò le amate lettere.
Sputò fuori la dolorosa progenie.
Scelse di vivere nella luce.

Chi desidererebbe svegliarla ancora dalla terra
dove finalmente dorme
con piena abbondanza?]

Dove il contrasto tra madre e figlia, tra identità e identità emerge netto e irrisolvibile. A chi resta, la figlia, il compito di trovare una nuova via.
Solo dopo sono venute le antologie di poesia femminile. La celebre Making for the Open (1985) curata da Carol Rumens; la Bloodaxe Book of Contemporary Women Poets di Jeni Couzyn; la The Faber Book of Twentieth Century Women's Poetry di Fleur Adcock (1987). Dove non appare chiaro - come scrive Jane Dowson - quale antologia tenti di affermare un canone e quale invece il canone cerchi di infrangerlo.
Nell'introduzione all'ennesima di queste antologie Sixty Women Poets (la Bloodaxe da sola ne ha pubblicate quattro) Linda France scrive: "Anthologies such as Sixty Women Poets are evidence that a separatist collection is not defensive but it makes new links and definitions in poetry." [Antologie quali Sixty Women Poets sono la prova che una raccolta "separatista" non rappresenta una difesa quanto la possibilità di creare nuovi collegamenti e dare vita a nuove definizioni in poesia.]
Sta qui forse la questione ed il passaggio più delicato riguardante la cosiddetta "poesia al femminile". Forse si smetterà di parlarne quando, paradossalmente, non ci sarà più bisogno di steccati che escludano qualcosa da qualcosa d'altro ritenuto "diverso". Si può essere d'accordo solo in parte con Linda France. Erigere una parete divisoria e poi fare finta che essa non esista appare piuttosto curioso. E tuttavia erigere una parete per dire: siamo qui, riconosceteci non appare ancora, purtroppo, una necessità anacronistica.

2. Tony Harrison: il poeta della working class
(Testi in appendice)

Da v. (prime due pagine)
On Not Being Milton [Sul fatto di non essere Milton]
A Kumquat for John Keats [Un Kumquat per John Keats]


Tony Harrison è nato a Leeds, Yorkshire, nel 1937. Ha compiuto gli studi universitari nella sua città laureandosi in lettere classiche. Ha insegnato in Nigeria e poi a Praga. Dopo una breve permanenza all'Università di Newcastle, è dal 1979 scrittore free-lance. A Newcastle ha casa ma divide il suo tempo tra l'Inghilterra e gli Stati Uniti. La sua attività di scrittore non si è limitata alla poesia (The Loiners - 1970 - From the School of Eloquence and Other Poems - 1978 - Continuous: Fifty Sonnets from the School of Eloquence - 1981 - e il poemetto v. - 1985). Harrison, infatti, è traduttore prolifico: Marziale, Molière, Racine ed Eschilo. Autore di libretti d'opera, di programmi per la televisione, ha raccolto i suoi testi teatrali (traduzioni comprese) in Theatre Works 1973-1985.
I lettori italiani possono leggerne l'opera nell'interessante traduzione di Bacigalupo in Tony Harrison, v. e altre poesie, Einaudi, Torino, 1996.


Pochi, probabilmente, si accorsero del senso della storia, della tradizione, del profondo ed orgoglioso senso di appartenenza ad una civiltà della lingua che segnava, in profondità, le liriche di The Loiners (1970), la prima raccolta in versi di Tony Harrison. Fu subito giudicato per l'uso più che disinvolto del linguaggio, della parlata locale, per l'ampia e talvolta indiscriminata commistione di sacro e profano che incideva quelle pagine. E fu da molti messo da parte. La stessa cosa gli era già capitata: nella nativa Leeds allorché, figlio di un panettiere, frequentava un college per ricchi, grazie a una borsa di studio, ma era tradito ad ogni parola dal suo accento imbastardito di nordest. I lettori benpensanti vennero poi nuovamente messi a dura prova, nel 1985, dalle ancora più pesanti dissacrazioni del poemetto v. (raggiunse il grande pubblico con la versione televisiva che ne fu tratta trasmessa da Channel Four nel 1987). E poi ancora: l'irrisione, che sgocciolava sangue e dolore dalle pagine del Guardian, nel 1991, durante la guerra del Golfo, guerra che Harrison combatté con le uniche armi che possedeva: con i versi di Initial Illumination [Iniziale Illuminata], A Cold Coming [Un freddo venire] - parole, riflessioni, ironia sferzante, tanta sofferenza e impotenza.
Fanno poco più di vent'anni di lotte, polemiche: si va da alcune poesie della prima celebre raccolta del 1970 sino alle pubblicazioni del 1991 sul quotidiano Guardian cui si accennava sopra.
Occorre procedere con prudenza. Harrison ha sempre viaggiato ai margini della poesia inglese "ufficiale" e molti curatori di antologie hanno fatto davvero fatica a trovare per lui una nicchia che lo contenesse e in qualche modo definisse. Valga per tutti l'esempio dell'antologia del 1982, Penguin Book of Contemporary British Poetry, con Blake Morrison ed Andrew Motion che lo collocano - pur riconoscendone l'importanza - accanto allo scozzese Douglas Dunn, fra i rappresentanti dunque di quel regionalismo culturale dal quale Harrison ha sempre cercato di emergere.
Si è faticato a comprendere e a leggere la filigrana del testo delle liriche di Harrison. Hanno il potere ipnotico e incantatore della tradizione allitterativa anglosassone quando impiega la pentapodia giambica che batte costante la sua scansione in cinque tempi. Si piegano verso il gusto settecentesco e tutto inglese per la satira che fu di Alexander Pope o di Samuel Johnson. Ma è lo sconcerto e sorpresa allo stato puro quando tra tanti merletti ci si ritrova di fronte uno skin head con lo spray in mano che devasta il cimitero di Leeds e le pagine bianche e intonse delle liriche di Harrison.
La potenza della poesia volge allora verso quella radicalità, quella violenza non sempre trattenuta che fu di Byron e dello Shelley cacciato dalle migliori università inglesi come autore di pamphlet sull'ateismo. Questo per dire come una citazione da Arthur Scargill, laburista e presidente del sindacato minatori che parla in difesa dello sciopero del 1984 contro la Thatcher, possa convivere felicemente con le allusioni all'Ode all'Usignolo di Keats, ai versi di Milton e di W.B. Yeats.
Molti critici e molti lettori rimasero affascinati, colpiti, inorriditi da quel profondo senso della cultura (Harrison, uomo dai solidissimi studi classici, è stato capace di tradurre Marziale in slang americano, così come di mettere in scena opere da Sofocle, Racine, Molière) che cocciava e strideva come vetro tra i denti con l'immagine del soldato iracheno il quale, carbonizzato da uno Scud in A Cold Coming, concede agonizzante la sua ultima intervista al poeta che l'ascolta e non sa cosa rispondere.
Il linguaggio è per Harrison il luogo d'elezione per lo scontro, per la messa in atto di una "differenza" ed una "tensione" insanabile: quella tra la sua poesia e la sua provenienza sociale, tra la forma raffinata dei suoi versi e la scurrilità del linguaggio, tra l'impossibilità di farsi comprendere e il desiderio di rimanere fedele ad un luogo, ad una classe sociale.
Harrison pone la sua poesia sotto il patronato di chi dal linguaggio è stato cacciato fuori. C'è un testo esemplare di tutto questo: On Not Being Milton [Sul fatto di non essere Milton] dove gli ultimi versi recitano come segue:

Articulation is the tongue tied's fighting.
In the silence round all pretty we quote
Tidd the Cato Street conspirator who wrote:

Sir, I Ham a very Bad Hand at Righting

[L'articolazione è la lotta di chi balbetta.
Nel silenzio che abbraccia ogni poesia citiamo
Tidd il cospiratore di Cato Street che scrisse:

Signor, Mia Scritura è una scifezza.]

Dove, per onore di cronaca bisogna ricordare che Richard Tidd è uno dei tanti cospiratori finiti mali della poesia di Harrison (fu giustiziato nel 1820 per avere tentato con altri di assassinare alcuni membri del governo - il covo dei cospiratori si trova a Cato Street). E c'è tutto Harrison nel gioco di parole tra Righting/fare giustizia scritto male da Tidd che avrebbe voluto e dovuto iniziare la sua lettera con Writing/Scrittura - scrivere.
Ma l'eredità (Heredity) di Harrison è un'altra; ce la racconta nella quartina iniziale della serie dei sonetti di The School of Eloquence:

How you became a poet's a mistery!
Whereever did you get your talent from?
I say: I had two uncles, Joe and Harry -
one was a stammerer, the other dumb.

[Come sei diventato poeta è un mistero!
Dove cavolo hai preso il tuo talento?
Dico: Avevo due zii, Jack e Harry -
uno era muto, l'altro balbuziente.]

Forse la fortuna decretata dal pubblico ai Selected Poems del 1984 (500.000 copie vendute!) si spiega un po' con tutto questo. Si spiega con il fatto che Harrison ha rappresentato per la poesia inglese degli anni ottanta il compimento, il punto di raccolta e forse di ideale conclusione di alcune linee contenutistiche e formali che hanno segnato il secolo britannico. C'è in Harrison quella linea visionaria ed etilicamente folle che fu di Dylan Thomas nella sua capacità di cortocicuitare elementi tra loro tanto disparati, la linea modernista "americana" - alla Eliot e Pound - nel senso della citazione come collage e tradizione (Bacigalupo parla del poemetto v. come di una Waste Land degli anni ottanta), la vena lirica e intimistica della gentility che fu del Movement di Larkin, Gunn, Amis e altri negli anni cinquanta. C'è tutto questo insieme all'anticipazione di quel senso di disgregazione che avvolge la poesia inglese degli anni novanta, rendendola una nebulosa dove orientarsi risulta molto difficile. Se, come è vero, la storia della poesia è spesso anche una storia di antologie di poesia (che lo si voglia o meno), è indicativo che il decennio si sia aperto con The New Poetry pubblicato da una di quelle case editrici - la Bloodaxe di Newcastle - che, come più volte detto, ha contribuito a spostare il centro geografico e, non solo quello della poesia inglese. L'antologia comprende 55 poeti e un'ampia prefazione che è un richiamo alla poesia più impegnata e politicamente contro. Un richiamo affinché la poesia sia black, femminista, gay, operaia con gli enormi rischi e i colossali fraintendimenti che tutto questo comporta. È un po' come se davvero i personaggi evocati da Harrison nelle sue liriche avessero preso la penna in mano e si fossero messi a scrivere quello che passava loro per la testa. E per due giovani di valore come Armitage e Maxwell capaci di inquadrare la lezione, si trova una schiera di personaggi invero un po' inquietanti.
In mezzo a tutto questo stanno le eleganti pugnalate alla schiena in forma di versi di Tony Harrison. E forse, a guardarli ancora più da vicino questi versi, rivelano, sotto la dura scorza, una vena lirica davvero riuscita. Una vena lirica che permette, molto spesso, ad Harrison di esprimere al meglio se stesso. Il rimpianto per il rapporto mancato con il padre che mai comprese quel suo modo sporco e violento di fare versi; e sull'onda di quel rapporto l'infinita dolcezza che lo lega a Leeds, la città natale.
C'é tutto questo nel poemetto v.: racconta di una visita al cimitero di Leeds sulla tomba dei genitori, di un cimitero devastato dalle scritte razziste degli hooligans che affollano lo stadio là vicino, dell'incontro con uno di questi skinhead brutale e provocatore (ma con la sua seppure "povera" parte di ragione). Nella consueta elegante pentapodia giambica collata in quartine che ricordano la celebre Elegy written in a country churchyard di Thomas Gray che alla metà del '700 aveva dato i primi impulsi al romanticismo inglese; quartine che a loro volta ridanno vita a quel genere il poema narrativo ed eroico già specificatamente drydeniano. E il recupero di certo andamento prosastico e "narrativo" rappresenta un'altra delle caratteristiche più specificatamente anni ottanta (si veda James Fenton in particolare). Questo per ribadire, ancora una volta, la ricerca formale che sorregge l'impianto duro e violento del contenuto:

The ground's carpeted with petals as I throw
the areosol, the HARP can, the cleared weeds
on top of dad's dead daffodils, the go
with not one glance behind, away from Leeds.

[Il terreno è coperto di petali quando getto
lo spray, la lattina HARP, le erbacce divelte
sopra le giunchiglie secche di papà, poi vado
via da Leeds, senza uno sguardo indietro.]

L'allitterazione della consonante d in "dad's dead daffodils" riassume e fonde l'immagine del padre, della morte e della devastazione, uno scorcio di salvifica bellezza nel fiore di giunchiglia. Gareggiano, contrastano con lo spray, la lattina HARP, le erbacce divelte in un parallelismo/contrasto che è la chiave di lettura di tutto v.
Il rapporto con il padre ritorna prepotente anche dalle quartine de La Scuola dell'Eloquenza - una serie aperta di sonetti nei quali Harrison spesso piega il verso ad un intimismo familiare e domestico davvero sorprendente.

You're like book ends, the pair of you, she'd say
Hog that grate, say nothing, sit, sleep, stare

The 'scholar' me, you worn out on poor pay,
only our silence made us seem a pair

[Siete come due reggilibri, diceva lei
curvi sul fornello, seduti, muti, occhi bassi...

Tu sfinito per quattro soldi al mese, io l'intellettuale,
solo il silenzio ci faceva uguali.]

Il contrasto è lacerante in quel "silenzio" che rende padre e figlio uguali. Harrison con zii balbuzienti e muti, Harrison l'intellettuale, poeta "ricco" d'America piange il silenzio, quello che un poeta non può possedere salvo perdere la scrittura; quello è infatti l'unico luogo d'incontro possibile.
Ma il testo forse più esemplificativo in questo senso, quello dove tutto trova una connessione ideale rimane A Kumquat for John Keats [Un Kumquat per John Keats]. Dalla Florida dove Harrison ha vissuto per lunghi periodi tra il 1979 e il 1990, arriva una lunga, sofferta e tenue invocazione alla vita nel ricordo del poeta morto a venticinque anni. Nel gusto dolce e amaro di un piccolo arancino dal nome esotico, Harrison ritrova il sapore della melancholy keatsiana:

For however many kumquats that I eat
I'm not sure if it's flesh or rind that's sweet,
and being a man of doubt at life's mid-way
I'd offer Keats some kumquats and I'd say:
You'll find that one part's sweet and one part's tart:
say where the sweetness or the sourness start.

[Infatti per quanti kumquat io mangi
non so se è la buccia o la polpa che è dolce
ed essendo uomo di dubbi a metà della via
offrirei a Keats dei kumquat e gli direi:
Vedrai che una parte è dolce e l'altra è amara
dimmi dove comincia il dolce e finisce l'agro.]

Tra una citazione e un'allusione alle Odi (alla malinconia, all'usignolo, alla celebre urna greca) sino all'Eve of St. Agnes, Harrison, poeta nella maturità degli anni, racconta del tempo che passa e della sostanza di cui sono fatti gli angeli.

3. La poesia marziana di Craig Raine
(Testi in appendice)

A Martian sends a postcard home [Un Marziano invia una cartolina a casa]
Laying a Lawn [Creando un Prato]


Craig Raine è nato a Shildon nel Durham nel 1944. Ha poi studiato ad Oxford dove ha insegnato diversi anni prima di diventare editor per la poesia della Faber and Faber - dal 1981 al 1991. Dal 1991 è di nuovo ad Oxford in qualità di Docente universitario. Oltre che come scrittore, Craig Raine è noto per le sue collaborazioni giornalistiche; per un certo periodo di tempo ha diretto la rivista letteraria Quarto. Una raccolta di suoi saggi critici è stata pubblicata con il titolo di Haydn and the Valve Trumpet. Il suo primo libro The Onion, Memory (1978) passò piuttosto inosservato mentre fu con il secondo A Martian Sends a Postcard Home (1979) che diede l'avvio alla celebre Martian school. Nel 1984 Raine ha pubblicato Rich. Ha poi scritto due testi per il teatro: The Electrification of the Soviet Union (basato su una novella di Pasternak) e 1953 una versione dell'Andromaca di Racine.


Della storia della Scuola Marziana già si è detto. Come già si è detto della predilizione di un certo gusto letterario per il pastiche, la metafora bizzarra e inconsueta, per la ricerca costante di sorprendere il lettore nel suo adagiarsi sulle parole. Vediamone subito un esempio. È tratto dal testo A Martian Sends a Postcard Home che ha dato il via a tutto. La situazione è questa: un marziano racconta il mondo degli umani a un proprio simile:

In homes, a haunted apparatus sleep,
that snores when you pick it up.

If the ghost cries, they carry it
to their lips and soothe it to sleep

with sounds. And yet they wake it up
deliberately, by tickling with a finger.

[Nelle case dorme un aggeggio stregato
che russa se lo alzi.

Se il fantasma piange, se lo portano alle labbra
e con i suoni lo calmano finché si addormenta.

E tuttavia lo svegliano apposta
solleticandolo con un dito.]

Viene spontaneo chiedersi: Cos'è? Quasi si trattasse di un indovinello. E di andare a cercare la soluzione in fondo alla pagina, magari scritta capovolta: [UN TELEFONO]. Ma confrontiamola con questa altra citazione. Scrive Viktor Sklovskij (fu uno dei padri del formalismo russo, la scuola di critica e teoria della letteratura sviluppatasi in Russia intorno agli anni venti) in L'arte come artificio: "Per resuscitare la nostra percezione della vita, per rendere sensibili le cose, per fare della pietra una pietra, esiste ciò che noi chiamiamo arte. Il fine dell'arte è di darci una sensazione della cosa, una sensazione che deve essere visione e non solo sensazione. Per ottenere questo risultato, l'arte si serve di due artifici: lo straniamento delle cose e la complicazione della forma, con la quale tende a rendere più difficile la percezione e a prolungarne la durata. Nell'arte il processo di percezione è infatti fine a se stesso e deve essere protratto."
E dunque il primo passo per avvicinare la poesia di Raine è fatto. Si sceglie un punto di vista straniato sulle cose, sulla realtà. Il fotografo russo Rodcenko alzava o abbassava l'obiettivo della sua macchina fotografica per cercare di ottenere visivamente questo effetto di straniamento. Complicando la forma, rendendola opaca, Raine ci costringe a fermarci, levare lo sguardo dal libro, girare lo sguardo attorno per recuperare "il senso delle cose". Ma abbiamo qualcosa di nuovo ora. Il telefono, ad esempio, si è trasformato in un "fantasma che piange".
Ancora un'altra immagine dalla stessa lirica. Si parla della stanza da bagno:

Only the young are allowed to suffer
openly. Adults go to a punishment room

with water but nothing to eat.
They lock the door and suffer the noises

alone. No one is exempt
and everyone's pain has a different smell.

[Solo ai giovani è consentito soffrire in pubblico;
gli adulti vanno nella stanza dei castighi

dotata d'acqua ma di niente da mangiare.
Chiudono la porta e sopportano i rumori

da soli. Nessuno può esentarsene
e il dolore di ciascuno ha un odore diverso.]

Il meccanismo è chiaro. Il "modernismo", sulla scorta del simbolismo - lo avevamo visto nella prima lezione - aveva cercato di elevare il linguaggio un palmo sopra la cifra consueta della mera comunicazione. Si era alla ricerca di qualcosa di profondo, di alluso, e lo si doveva trovare forzando il linguaggio, portandolo al limite. Se con "post-moderno" si intende legare l'esperienza della poesia di Raine e di Reid a quella di Eliot o Pound per mezzo di questa considerazione, ci sembra che l'argomentazione sia piuttosto fragile. Il senso del "gioco" nella poesia di Raine è immediato, la percezione dell'indovinello è chiaramente avvertibile sin da una prima lettura.
Anche la poesia di Raine è sulla strada che porta ad una "differenza", anche quel suo senso straniato del mondo vuole condurci ad un punto di crisi. La decostruzione della realtà (seppure attraverso il gioco) mira a minare la certezza della nostra conoscenza. Ecco forse siamo vicini al punto. La "differenza" che ci racconta Raine è quella di un mondo relativo dove il "soggetto" non occupa più la centralità delle cose, o comunque non può più averne l'esatta e definitiva certezza. Se per i modernisti frammentare era stato un modo per conoscere, per i "marziani" di Raine la contemporanea molteplicità dei punti di vista non porta troppo in profondità quanto ci segnala il vecchio pericolo pre-Copernico e Galileo dell'uomo al centro dell'universo.
L'Io di Raine è un Io estremamente ambiguo al punto che ci si chiede "But who is speaking?" "Ma chi sta parlando in questa poesia?". Il marziano, il poeta, il lettore che si immedesima con il punto di vista. L'immagine che ne consegue e quantomeno triplicata in un gioco di fondali o pluralità di punti di vista da fare girare la testa.
C'era stato qualcun altro che, in pittura aveva utilizzato una tecnica simile. A lui si ispira Raine: ce lo racconta in un intervista: "By using fractured images Picasso had broken the rule of the fixed viewpoint: the equivalent in poetry might be to mix your metaphors. At the same time, the most succesful of his cubist pictures were those that depicted something so familiar (like the human face) that one could distort a great deal without losing the fundamental sense of it. By analogy, I thought subjects like a butcher or a barber could be bombarded with images from a thousand directions without destroying the unity of impression." [Utilizzando immagini frante Picasso aveva infranto la regola del punto di vista preordinato: un equivalente in poesia potrebbe essere quello di mescolare le proprie metafore. Allo stesso tempo, però, i quadri cubisti più riusciti sono quelli che ritraevano soggetti a tale punto familiari (ad esempio un volto umano) che li si poteva distorcere a piacimento senza che andasse perduto il senso ultimo dell'immagine. In maniera analoga, ho pensato che soggetti come un macellaio o un barbiere potessero essere bombardati con migliaia di immagini provenienti da tutte le direzioni senza distruggere l'unità dell'impressione.]
Dove Raine ci racconta un altro aspetto della sua poesia. Lo straniamento prodotto dal mix di metafore fatte frullare vorticosamente porta al limite ma si arresta sempre un attimo prima della caduta. Il mondo viene percepito come un grande testo, un grande libro:

At night, when all clours die,
they hide in pairs

and read about themselves -
in colour, with their eyelids shut.

[Di notte, quando i colori si spengono,
si nascondono a coppie

e leggono di se stessi,
a colori, con le palpebre chiuse.]

È il finale della lirica già citata. Oppure come nella poesia dedicata a Ian McEwan Laying a Lawn [Creando un prato] dove si legge:

For the moment, our bodies
are immortal in their ignorance -

neither one of us can read
this Domesday Book.

[Adesso i nostri corpi
sono immortali nella loro ignoranza:

nessuno di noi sa leggere
questo Registro Catastale.]

Eppure è un libro che mantiene comunque una sua grammatica, seppure controversa, molteplice, straniata. Come bene scrive Corcoran "si evoca un ordine sul quale si può ironizzare ma nei confronti del quale si mantiene una fantasmatica ed elegiaca obbedienza e fedeltà." L'importante è scegliere un soggetto familiare in modo da non perdere mai di vista l'unita dell'impressione. La frammentazione della percezione deve avere un'unità come punto di riferimento. Si tratta di un paradosso curioso e interessante.
Sta forse qui, però, il limite più evidente di tanta poesia marziana. Non tanto nella mancanza di pathos, o nella spinta razionalista, nel cerebralismo di molte scelte (anche se può succedere allorché un eccesso di "formalismo" risulti decisivo). Anzi, c'è spesso un innocenza infantile, uno sguardo da bambini sulle cose profondamente ingenuo e partecipe. E neppure troppo evidente (anche se talvolta capita) appare quell'esibizione di abilità, quel gusto letterario fine a se stesso ed autoreferenziale che fa correre il rischio al poeta di mettersi allo specchio e ripetersi in rima la sua bravura e bellezza.
Il limite, si diceva, sta forse in questo non "perdersi" completamente; in questa paradossale fede ultima in un ordine anche quando si è impiegata una vita letteraria per metterlo in crisi. Ma forse è solo un paradosso e come tale va letto e vissuto.

Bibliografia
- Neil Corcoran, English Poetry Since 1940, Longman, Londra 1993. In particolare
- Barbarians and Rhubarbarians - Douglas Dunn and Tony Harrison;
- PART FIVE. SINCE 1970
- Introduction: Towards the Postmodern?
- A Pen Mislaid: Some varieties of Women's Poetry
- Grammars of civilazation?
- Hiding in Fictions: Some New Narrative Poems
- Ian Hamilton (a cura di), The Oxford Companion to Twentieth Century Poetry, Oxford University Press, Oxford 1994
- Michael Schmidt, Reading Modern Poetry, Routledge, Londra e New York 1989
- Ian Gregson (a cura di), Contemporary Poetry and Postmodernism - Dialogue and Estrangement, MacMillan Press Ltd, Londra 1996
- Gary Day e Brian Docherty (a cura di), British Poetry from the 1950s to 1990s - Politics and Art, Routledge, Londra e New York 1997
- Blake Morrison and Andrew Motion, The Penguin Book of Contemporay British Poetry, Penguin Books, Londra 1982
- Linda France (a cura di), Sixty Women Poets, Bloodaxe Books Ltd, Newcastle upon Tyne 1993
- Carol Rumens (a cura di), New Women Poets, Bloodaxe Books Ltd, Newcastle upon Tyne 1991
- Peter Fallon and Derek Mahon (a cura di), Contemporary Irish Poetry, Penguin Books, Londra 1990
- Brendan Kennelly (a cura di), The Penguin Book of Irish Verse, Penguin Books, Londra 1970
- Paul Muldoon (a cura di), The Faber Book of Contemporary Irish Poetry, Faber and Faber, Londra 1986
- Robin Bell (a cura di), The Best of Scottish Poetry, Chambers, Edinburgo 1989
- Simon Armitage, Sean O'Brian, Tony Harrison, Penguin Modern Poets vol.5, Penguin Books, Londra 1995
- Edoardo Zuccato (a cura di), Sotto la Pioggia e il Gin - Antologia della poesia inglese contemporanea, Marcos y Marcos, Milano 1997
- Tony Harrison, Selected Poems, Viking/Penguin Books, Londra 1984
- Tony Harrison, v., Bloodaxe Books Ltd, Newcastle upon Tyne 1985
- Tony Harrison, v. e altre poesie - a cura di Massimo Bacigalupo, Einaudi, Torino 1996
- Craig Raine, A Martian Sends a Postcard Home, Oxford University Press, Oxford 1979
- Fleur Adcock, The Incident Book, Oxford University Press, Oxford 1986
- In Nuova Corrente Anno XXXV (1988) N° 102 (Luglio-Dicembre), Julian Stunnard, Poesia britannica contemporanea: una poetica del riflusso, pp. 339-69
- In Storia della Letteratura Inglese, UTET, Milano 1991, Maria Stella, La Poesia Contemporanea 1960-1990, pp. 591-615

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