Un bel romanzo di qualche tempo fa

John McGahern, Moran tra le donne

La prima impressione, il primo riferimento letterario che salta alla mente leggendo l’opera narrativa di John McGahern rimanda all’Irlanda di Joyce. Non il Joyce pirotecnico dell’Ulisse o del Finnegan’s Wake ma quello epifanico, piano, teso, minimale di Gente di Dublino. C’è l’Irlanda in bianco e nero, l’Irlanda meno divertita e divertente nelle pagine di McGahern ma non per questo meno profonda e vera. Era presente ne “Il pornografo” edito de Einaudi qualche anno fa, e la si ritrova interamente anche nelle pagine di questo nuovo romanzo “Moran tra le donne”. Quell’atmosfera un po’ cupa di certe giornate di pioggia a Dublino, il vocio della provincia persa nei mille pettegolezzi su questo o quell’altro. Un mondo piccolo e chiuso, quasi privo di colore sul quale la scrittura di McGahern arriva con la precisione di chi sa leggere con i sensi ma anche con l’intelletto. Con quella abilità di essere dentro al racconto ma anche di riservarsi, come i grandi narratori russi cui si ispira (da Cechov a Turgenev) lo spazio per una riflessione, per un approfondimento.
Il protagonista, Moran, è un padre-padrone che ha combattuto la guerra d’Irlanda, che ha dato il sangue per una causa che, a poco a poco, sente svanire, mutare di segno. Il mondo gli svapora tra le mani, perde i confini della famiglia, scrigno nel quale ha tentato di fermare il tempo, tempo che sta cancellando gli uomini come lui, i suoi valori: il suo credo radicato nella Chiesa Cattolica, il suo silenzio di combattente che invecchia la parsimonia come norma di vita, la diffidenza anafettiva di un padre che vuole essere anche padrone del destino dei figli (anche se non andrà così, anche se Moran solo in parte riuscirà a conformarsi a questo ruolo). La famiglia di Moran dunque: le figlie che lo amano e lo temono allo stesso tempo, i figli che lo abbandonano appena possono perché è impossibile reggere un confronto. Ma soprattutto le figlie. Sono loro, insieme a Moran le protagoniste del romanzo. Sono le donne, sembra dire McGahern, le sole capaci di custodire il fuoco vitale, di amare incondizionatamente, di sapere leggere nell’ira, nella scontrosità del padre, anche l’affetto, la sensibilità seppure ruvida e callosa. Sono le donne – dice McGahern le uniche capaci di contrastare la morte, e con il loro atto di volontà sembrano quasi riuscire nell’intento. Moran invecchia e le figlie cercano di tenerlo vivo, rievocando intorno a lui un mondo che non esiste più. Un mondo fatto di feste nel retro di un granaio dove uomini e donne si scambiano messaggi più o meno cifrati, un mondo di piccoli rituali legati alle ricorrenze, agli infiniti rosari pregati con le ginocchia a terra. Ma lo scrittore irlandese non ama la consolazione facile e dunque la morte di Moran verrà, semplice e naturale. E non significherà dissoluzione ma come il rinnovamento di un impegno. La famiglia, riunita dopo il funerale del padre, rientra nella vecchia casa. Unita ancora una volta. Si chiude con questa immagine il libro, congelando, con quello stile lento ed esatto tipico della scrittura di McGahern, il momento indice di un passaggio delle consegne, di una piccola svolta sul futuro. Il patto non è sciolto, ma riconfermato, ognuna delle figlie, ognuna a modo proprio è diventata un nuovo Moran.

Commenti

Post più popolari