Il giudice Holden
Siamo tutti d'accordo, sarebbe meglio non incontrarlo. Ma nel caso dovesse succedere come bisogna comportarsi? Il giudice Holden, grasso, con gli occhi porcini che se ne va in giro nudo nel deserto con una valigia e compra tutti e nessuno l'ammazza mai e fa strani discorsi tra il filosofico e il teologico sulla guerra come unica forma per avvicinarsi a Dio. Chi diavolo è? Il diavolo? Il Male assoluto? O più semplicemente questo dannato scorrere degli eventi, colui che fa saltare per aria l'illusione di un io che ci appartenga, incapsulato dentro alla coscienza, il cogito cartesiano?
Da Meridiano di Sangue pag. 314
"La pioggia era cessata e l'aria era fredda. Si fermò nel cortile. Miriadi di stelle cadevano a caso nel cielo, affrettandosi lungo brevi tragitti dalle loro origini nella notte ai loro destini nella polvere e nel nulla. Dentro la sala il violino strideva e i ballerini strascicavano e battevano i piedi. Nella strada c'erano uomini che cercavano la ragazzina a cui avevano ucciso l'orso, perché era sparita. Si aggiravano fra i cortili ormai bui con lanterne e torce, e la chiamavano.
Si avviò sulla passerella di legno versò le latrine. Si fermò ad ascoltare le voci evanescenti e guardò di nuovo le tracce silenziose delle stelle che morivano sulle colline buie. Poi aprì la rozza porta di legno ed entrò.
Il giudice era seduto sul cesso. Era nudo, e si alzò sorridendo e lo strinse fra le braccia contro la propria immensa terribile carne, e richiuse la porta facendo scattare il chiavistello di legno alle sue spalle."
Finisce qui, anche se Cormac McCarthy non ce lo dice esplicitamente, l'avventura del ragazzo protagonista del libro. Pressato, schiacciato, come inglobato dentro all'enorme carne grassa del giudice, come a lui congiunto in un abbraccio definitivo, l'ego e il suo alter-ego alla fine una cosa solo nonostante i tentativi di fuga. Finisce in un cesso mentre le stelle, lontane percorrono i loro tragitti dalla luce alla polvere e al nulla.
Un libro incredibile.
Da Meridiano di Sangue pag. 314
"La pioggia era cessata e l'aria era fredda. Si fermò nel cortile. Miriadi di stelle cadevano a caso nel cielo, affrettandosi lungo brevi tragitti dalle loro origini nella notte ai loro destini nella polvere e nel nulla. Dentro la sala il violino strideva e i ballerini strascicavano e battevano i piedi. Nella strada c'erano uomini che cercavano la ragazzina a cui avevano ucciso l'orso, perché era sparita. Si aggiravano fra i cortili ormai bui con lanterne e torce, e la chiamavano.
Si avviò sulla passerella di legno versò le latrine. Si fermò ad ascoltare le voci evanescenti e guardò di nuovo le tracce silenziose delle stelle che morivano sulle colline buie. Poi aprì la rozza porta di legno ed entrò.
Il giudice era seduto sul cesso. Era nudo, e si alzò sorridendo e lo strinse fra le braccia contro la propria immensa terribile carne, e richiuse la porta facendo scattare il chiavistello di legno alle sue spalle."
Finisce qui, anche se Cormac McCarthy non ce lo dice esplicitamente, l'avventura del ragazzo protagonista del libro. Pressato, schiacciato, come inglobato dentro all'enorme carne grassa del giudice, come a lui congiunto in un abbraccio definitivo, l'ego e il suo alter-ego alla fine una cosa solo nonostante i tentativi di fuga. Finisce in un cesso mentre le stelle, lontane percorrono i loro tragitti dalla luce alla polvere e al nulla.
Un libro incredibile.
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