Vertigini

Si esce storditi e con un senso di ebrezza dalle pagine del libro di Marco Vannini "Prego Dio che mi liberi da Dio". Raramente mi ero imbattuto in pagine così radicali nel richiedere "distacco", "rinuncia all'io" "conversione". Sono pagine in cui il mondo impallidisce, si dissipa, sembra sul punto di perdere ogni dimensione fattuale quand'ecco che un'intuizione, un ribaltamento, un paradosso lo rimettono in gioco come luogo del nostro agire/ essere agiti. Vengo da letture, dal ritorno della Waste Land eliotiana alla scoperta dell'ultimo Morselli, fatta di paesaggi frammentari e irti di contraddizioni aspre, con strapiombi da cordigliere delle Ande e desolazioni in forma di sabbia che sfugge tra le dita. Ecco, sembra dire Vannini (via Eckhart, Frank e Weil) questo 'è' il mondo in tutta la sua assenza e dunque nel massimo della sua presenza. Non ti dolere, come spesso hai fatto, di sentirti una confederazione d'anime in lotta tra loro, sempre in bilico tra faglia e faglia, deriva di continenti con movimenti simultanei e millenari. Ringrazia perché è l'unica fortuna che possiedi. Le mie vecchie letture dal canone buddista in materia di "Questo non sono io, questo non è mio, questo non è il mio io" sono tornate a galleggiare come tronchi d'albero nel mare calmo dopo la tempesta. Sono punti d'appoggio illusori come oasi per gli assetati dispersi nel deserto. Non puoi 'appropriartene', anzi non puoi appropriarti proprio di nulla. L'amor sui ti aspetta dietro ogni varco, dietro ogni presunzione di conoscenza, dietro ogni vago accenno di traguardo raggiunto. Niente volere, niente avere, niente conoscere.

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