Appunti su lezioni del 1998

TRADIZIONE E RINNOVAMENTO
NELLA POESIA INGLESE
DAGLI ANNI '50 AGLI ANNI '90

I lezione

Il recupero della 'gentility':
il Movement da Philip Larkin a Thom Gunn

a cura di
Luca Guerneri


4 febbraio 1998

1. Il recupero della "gentility": il Movement da Philip Larkin a Thom Gunn
1.1. Introduzione
All'indomani della fine della seconda guerra mondiale un celebre critico quale Cyrill Connolly scriveva "un artista non sarà più giudicato che per la risonanza della sua solitudine o per la qualità della sua disperazione". Intendeva dire che l'Anschluss, la bomba di Hiroshima, le pile di morti sotto le bombe tedesche ed inglesi avevano mutato in maniera definitiva il modo di pensare e vivere di un'intera generazione. La generazione cosiddetta dei "trentisti", la generazione più impegnata e combattiva (Auden, Spender e con loro MacNeice) sembrava avere esaurito buona parte della propria spinta vitale. Quella medesima spinta vitale che aveva portato i poeti a combattere e a scrivere della guerra di Spagna era risultata incapace di trovare le parole giuste di fronte a tanto. Si parlò allora di ripiegamento, di riflusso. Sanesi, in un'appendice alla celebre edizione de Poeti Inglesi del '900 scrive che "nella perpetua lotta, per anni equilibrata, fra Kierkegaard e Marx - tanto per fare i due nomi che più spesso ricorsero nascosti fra un verso e l'altro dei migliori rappresentanti del periodo - la vittoria non è toccata certo al secondo (il primo anzi si è visto accoppiato ancora più fortemente con Freud)". Occorre tenere in considerazione alcuni fattori storici. Non perché si ritenga che necessariamente la storia e la letteratura seguano sempre e comunque un percorso parallelo ma perché si è convinti del fatto che esistono tappe nello sviluppo di una coscienza collettiva che non possono non essere toccate da avvenimenti di portata tanto determinante. Quello che accadde all'isola, che dai tempi di Guglielmo il Conquistatore non era stata più invasa da piede straniero, fu l'inizio di una vera e propria catastrofe. Le bombe tedesche riportarono gli inglesi in Europa in maniera definitiva. Il continente era alla portata di qualche coraggioso pilota d'aereo tedesco. Le colonie sparse per il mondo si staccavano dalla Grande Madre, ormai Grande Nonna dai capelli bianchi incapace di accudire i propri figli lontani. La perdita dell'insularità venne vissuta come lo scavalcamento di un limite, l'invasione, anche psicologica di un territorio privato. A tutto questo va aggiunto il bagliore delle bombe atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Un bagliore a tal punto accecante da lasciare "stupefatti", senza parole. Gli occhi pieni di una luce bianca, un velo di latte che non permetteva più una nitida messa a fuoco di un dolore e di una sofferenza troppo profondi.
"A Dachau erano morti Yeats e Rilke" - scriveva Donald Davie, critico e poeta emergente dei primi anni cinquanta. Era crollato in un certo modo la progettualità di una poesia di derivazione simbolista. E con simbolismo si intenda anche lo scrivere versi alla Eliot (di derivazione Poundiana e di matrice americana). In piena Waste Land da dopoguerra accadde che la frammentazione eliotiana fosse riconosciuta come troppo metafisica, incapace di aderire in maniera diretta ed elementare alle questioni più concrete ed empiriche di una generazione in cerca di ricostruzione. Quella che seguì fu una specie di "post-imperial tristesse" - come ebbe a definirla Blake Morrison, una depressione generale che non richiedeva parole di tuono o sermoni di fuoco (per citare i titoli di alcune sezioni della Waste Land di Eliot). Si cita Eliot ma anche la poesia di Dylan Thomas venne duramente attaccata per tutti quegli aspetti neoromantici che la permeavano (e con questi anche la cosiddetta scuola degli Apocalittici nei quali Thomas era stato in un certo qual modo arbitrariamente incluso). Gli anni cinquanta furono un periodo di grandi epurazioni. Si intenda: molti poeti continuarono a scrivere. Ma Auden dal 1946 era diventato cittadino americano e nel 1940 era uscito Another Time che già dal titolo prefigura il passaggio ad una scrittura "altra", Eliot tornava in forma critica su alcune sue affermazioni fatte prima della guerra (poi, dopo i Four Quartets del 1943, avrebbe scritto ben poca poesia), Thomas affondava nell'alcool le ultime sue disperazioni e sarebbe morto nel 1953, Spender pubblicava un volume - The Creative Element - nel quale ricusava la propria adesione al comunismo in nome di un nuovo individualismo liberale.
Fu come una specie di azzeramento totale cui seguì, per necessità, una nuova rifondazione. Per molti critici e poeti che cominciarono a scrivere e a pubblicare negli anni immediatamente successivi alla guerra si rese necessaria una nuova ricerca. Si trattò di dare o di ritrovare un senso di continuità con il canone della "grande tradizione" inglese. Fu la ricerca di quella che Gilberto Sacerdoti in un bel saggio dal titolo Thomas Hardy e la Poesia del Novecento definì come "un'altra modernità".
Prima di addentrarci nell'analisi di questa nuova modernità vorremmo soffermarci brevemente sulle ragioni, per certi versi non del tutto risolte, che spinsero alla ricusazione da parte di critici e poeti quali Philip Larkin e Donald Davie di un testo come la Waste Land che aveva segnato e rivoluzionato il secolo. È indubbio che, come scrisse Valéry nel 1938 in Existence du Symbolisme, scopo di gran parte della poesia simbolista e modernista era stato quello di "dare accesso a una vita seconda", "costruendo un linguaggio nel linguaggio" che si allontanasse dalle funzioni meramente comunicative che esso assolve "nella vita ordinaria e superficiale". E che il risultato di quel tentativo si risolvesse in Eliot in una frammentazione, in una frattura drammatica, in una specie di innalzamento, o abbassamento della prospettiva tale da permettere una trasformazione, un cambiamento. Quello che poteva sembrare ovvio, ma fu esattamente quanto non accadde, è che i versi della Terra Desolata non furono in grado di impregnare la vera e profonda "terra desolata" dell'Inghilterra degli anni cinquanta. Il linguaggio "nevrotico" ed entropico della scrittura eliotiana correva sul filo delle menti sconvolte dalle esplosioni della guerra, dalle fughe verso l'ennesimo rifugio dopo l'ennesimo allarme aereo, ma non fu in grado di "descriverle". Mancò l'atto percettivo in grado di fare comprendere l'universalità della ricerca eliotiana. Come se il bagliore dell'atomica avesse di fatto realizzato concretamente la frammentazione, l'avesse resa a tal punto evidente da non richiedere più una sua lettura sulla pagina scritta. Come se quel:

I think we are in rats alley
where the dead men lost their bones

[Io penso che stiamo nel vicolo dei topi
Dove i morti hanno perso le loro ossa]

fosse una rappresentazione troppo vicina alla realtà dei campi di concentramento. Al punto di sentirvi quasi, ma fu un atto di estremismo e di difesa disperata, una sorta di "corresponsabilità". Come se la lucida follia che aveva mosso il verso di Eliot sin dentro alla polpa della propria nevrosi fosse la medesima, instancabile ed allucinata "nevrosi" che aveva dato origine al nazismo e al delirio hitleriano. Si intenda: non si tratta, a nostro avviso, di essere d'accordo o meno con quanto accadde. Si trattò di volare con l'angelo caduto di miltoniana memoria nell'inferno della pulsione di morte freudiana e ritornare a contemplare, dal basso, schiumanti di rabbia, il paradiso perduto. Quello che accadde, a nostro parere, fu che l'odore nauseabondo dell'anatomia dell'umana nevrosi espressa da Eliot nelle sue piaghe più purulente, toccasse un punto troppo profondo. Come allungare il collo e sporgersi verso il fetore di un pozzo buio del quale non si intravede il fondo. Impossibile sopportare troppo a lungo. Occorre ritrovare la luce, quella "pace oltre l'intelligenza" (shantih shantih shantih) che grida disperatamente dall'ultima convulsa pagina della Waste Land.


1.2. Dalla Gentility alla nascita del Movement
Fu esattamente quanto accadde. Partiamo dalla fine. È il 1962 quando la Penguin dà alle stampe The New Poetry, l'antologia che chiude in maniera definitiva l'esperienza del Movement iniziata circa un decennio prima. Nell'infocata introduzione che precede la scelta antologica, Alvarez attacca duramente buona parte della poesia scritta negli anni cinquanta . Intitola la sua introduzione The New Poetry or Beyond the Gentility Principle. Segnandone la fine ci dà, seppure in negativo, una delle migliori definizioni del Movement. Analizzando la reazione della poesia inglese al modernismo descrive quelli che sono a suo parere i tre "negative feed-back" (reazioni negative) che l'hanno caratterizzata.
La prima reazione è di ordine prettamente tecnico. Il linguaggio "complesso ed involuto" di Auden venne messo alla berlina e riconosciuto come impossibile da avvicinare in un'epoca disillusa (si veda poco oltre la lirica di Davie: Remembering the thirties). La sperimentazione, il gioco di parole, l'uso ironico ed ambiguo della poetica audeniana venne visto come fumo negli occhi. Il sintomo primo che ne conseguì fu quello di un profondo e spesso ingiustificato anti-intellettualismo (vale in buona parte qui il discorso fatto nell'introduzione, sostituendo al nome di Auden quello di Eliot).
Il secondo nome chiamato in causa fu quello di Dylan Thomas (torneremo più nello specifico discutendo la poesia di Larkin). La poesia del gallese venne letta come un complesso gioco d'artificio neo-romantico spesso completamente privo di significato. E se è vero che il motore primario dell'ispirazione di Thomas affonda nell'incastro tra suono e significato (quello che Jakobson definiva l'incontro del piano del significato con quello del significante) non si può mettere in dubbio che, come scrive lo stesso Alvarez "Thomas was not only a fine rhetorician, he also, in his early poems, had something original to say". Occorreva dunque che oltre ad un ritorno ad una tecnica più consona vi fosse la ricerca anche di una maggiore e più piana comunicatività. Era un "meaning", una "moral" che veniva chiesta alla poesia. La conseguenze, scrive Alvarez, fu un limite posto all'intelligenza "a blockage against intelligence".
La terza reazione fu quella nei confronti della "wild, loose emotion". L'emozione priva di controllo e freno non andava d'accordo con la poesia. Occorreva un certo distacco un verso che fosse "polite, knowledgeable, efficient, polished and, in its quiet way, even intelligent". E chi poteva esprimere tutto questo meglio di un gruppo di poeti di estrazione medio-borghese (Alvarez scende nel dettaglio: tra i nove antologizzati in quella che fu la prima raccolta del Movement sei erano docenti universitari, due bibliotecari e un impiegato statale), inseriti quindi anche ufficialmente all'interno del nuovo sistema di welfare, che si andava imponendo come modello di nuova rassicurazione sociale?
Siamo nei pressi del concetto cardine di gentility. Alvarez la definisce come segue: "La gentility è la fede che la vita sia sempre più o meno ordinata, che le persone siano sempre più o meno cortesi, che le loro emozioni e abitudini siano sempre più o meno decorose e più o meno controllabili; che Dio, insomma, sia sempre più o meno buono."
Abbiamo già dunque i termini per tentare di definire la poesia del Movement: anti-intellettualistica, "dignitosamente" intelligente, emotivamente distaccata. Più o meno decorosa, più o meno controllabile.
Lasciamo Alvarez, ci servirà più avanti, nella II lezione, allorché tutto questo sarà nuovamente rimesso in gioco. Ripercorriamo la storia del Movement, questa volta seguendo la cronologia.
La storia racconta che il termine Movement venne coniato per la prima volta da un giornalista e critico letterario - J.D. Scott - in un articolo intitolato In the Movement e pubblicato sullo Spectator del 1 ottobre 1954. Nell'articolo si sottolineava come gli autori di questo presunto "Movimento" si rifacessero a Leavis, Empson, Orwell e Graves, si sottolineava la loro insoddisfazione nei confronti del "despair" espresso negli anni quaranta, la ricerca di una poesia che fosse "scettica, vigorosa ed ironica".
Poi vennero le antologie: Poets of the 50s pubblicata nel 1955 ed edita da D.J. Enright e infine la consacrazione con l'antologia a cura di Robert Conquest (edita nel 1956) con il titolo di The New Lines. Nove erano i poeti antologizzati: Amis, Conquest, Davie, Enright, Gunn, Holloway, Jennings, Larkin e Wain. Come si è detto sei erano docenti universitari: di qui la definizione di New University Wits (dove con Wit si intende "bell'ingegno"). Tali poeti - come scrive Crivelli: "raggiungono una vasta porzione di pubblico attraverso la risonanza dei mass-media e la macchina pubblicitaria della rinascente industria editoriale, assai incline a una precoce antologizzazione in grado di influenzare, e talvolta sbalordire il lettore."
Fra gli autori citati merita particolare attenzione (oltre a Larkin e a Gunn che tratteremo più nello specifico poco oltre) la figura di Donald Davie. Sulla poesia di Davie si può tranquillamente sorvolare senza rischiare di commettere grave atto di omissione. Fu suo però un volume di critica letteraria dal perentorio titolo di The Purity of Diction in English Verse nel quale si sanciva un rapporto di omogeneità e specularità tra le leggi sintattiche e quelle sociali. Di qui le consuete accuse di perdita della centralità dovuta al post-simbolismo poundiano e al modernismo in generale, accusato di essere responsabile di una "politica sintattica" incomprensibile ed irresponsabile. In una sua celebre lirica dal titolo Remebering the Thirties (Ricordando gli anni trenta) scrive in pulite quartine rimate:

The Anschluss, Guernica - all the names
At which those poets thrilled or were afraid
For me mean schools and schoolmasters and games;
And in the process some-one is betrayed

Ourselves perhaps. The Devil for a joke
Might carve his own initials on our desk,
and yet we'd miss the point because he spoke
an idiom too dated, Audenesque

[L'Anschluss, Guernica - tutti nomi per i quali
questi poeti si entusiasmarono o fremettero di paura
per me significano soltanto scuole, maestri e giochi;
e nel frattempo qualcuno è tradito.

Noi stessi forse. Per scherzo il Demonio avrebbe anche
potuto incidere le sue iniziali sul nostro banco,
e non avremmo capito, esprimendosi
in un idioma ormai troppo invecchiato, troppo Auden.]

C'è molto di più di una poetica o di una semplice presa di posizione di polemica in queste parole. C'è il giudizio severo su una generazione la quale, seppure sconfitta, si era avvicinata al mondo tentando di mutarlo in meglio.
Scrive Conquest nell'Introduzione a The New Lines: "Volendo distinguere in breve la poesia di questi anni da quella che l'ha preceduta, credo che il punto più importante da sottolineare sia che essa non soggiace ad alcun grande sistema teorico né ad alcun agglomerato di ordini dell'inconscio. Questo rispetto per la persona o l'avvenimento reale è, in effetti, parte del generale ambiente intellettuale (nella misura in cui non è cieco e retrogrado) del nostro tempo. Si potrebbe senza tema di spingersi troppo oltre, dire che George Orwell, col suo principio di un'onestà reale piuttosto che ideologica, abbia esercitato, seppure indirettamente, una delle maggiori influenze sulla poesia moderna".
Dal punto di vista più strettamente della tecnica - anche se, naturalmente, in rapporto con tutto questo - notiamo il rifiuto ad abbandonare una struttura razionale e un linguaggio comprensibile, e ciò anche quando la poesia è più carica di intenzioni sensuose o emotive."
Anche sulla tradizione, ovviamente, il Movement non mancò di voler dire la propria.

1.3. Il Movement e la English Line
Davie va ricordato anche per un altro importante volume di critica il quale, pur essendo uscito negli anni settanta rappresenta tuttavia la summa di molte delle idee che giravano in quegli anni: Thomas Hardy and the British Poetry.
Questo libro infatti ci permette di aprire una piccola parentesi sul lungo lavoro di revisione che viene operato in quegli anni sul concetto di "tradizione". L'idea di tradizione espressa da Eliot - nel celebre saggio "Tradition and the Individual Talent" - non poteva più essere accettata per i tanti motivi di cui sopra. L'idea di una specie di circolo senza inizio e senza fine nel quale ogni opera nuova viene a modificare la nostra visione delle altre opere che appartengono alla tradizione (The whole of the literature of Europe from Homer - come scriveva T.S.) andava rimpiazzata con qualcosa che facesse riferimento immediato ad una English Line ben definita ecircoscrivibile. Larkin in questo è spietato. In un'intervista del 1973 dice: "Pensavo che dovesse esistere quella che io chiamo, per mancanza di una migliore definizione, una tradizione inglese e che risaliva al XIX secolo con autori come Hardy; interrotta dalla I Guerra Mondiale, durante la quale diversi poeti inglesi morirono [e si riferisce in particolare ad autori come Owen e Sassoon, nel pieno di questa linea hardiana, n.d.t.], e in parte dall'impatto davvero tremendo di Yeats. Penso a lui come a un celtico e a Eliot come ad un americano." Su questa presunta English Line un critico come John Powell Ward ha scritto un volume che ha come sottotitolo Poetry of the Unpoetic from Wordsworth to Larkin. Dopo avere elencato le caratteristiche del canone in questione (non siamo molto lontani da quanto si è detto a proposito della poesia del Movement) passa a citare i poeti che nel corso degli ultimi due secoli hanno dato corso alla formazione di questa linea: William Wordsworth, John Clare, Thomas Hardy, Edward Thomas sino alla nitida voce di Philip Larkin.
Come bene scrive Sacerdoti nel saggio già citato "Hardy insegnava ancor prima che a scrivere a sentire ed è dunque evidente che ciò che Larkin scopre in Hardy è una grande voce novecentesca estranea a quella tendenza a trascendere l'umano, troppo umano che è implicita in tutta l'esperienza moderna di ascendenza post-simbolista e decadente, in Inghilterra non meno che sul continente".
Il nome di Hardy pare pertanto essere quello che ritorna con maggiore frequenza. Conosciuto maggiormente come romanziere (da Tess a Via dalla Pazza Folla), Hardy è all'origine negli anni cinquanta una riscoperta assoluta anche delle sue qualità di poeta. Vengono riletti con grande attenzione i Wessex Poems del 1898 e vi si scoprono elementi che li accomunano alle Lyrical Ballads (1798) che un secolo prima avevano segnato il nuovo corso della poesia inglese dell'ottocento. Di Hardy viene recuperato un certo gusto per la versificazione piana ma "regolare", lo sguardo rivolto al quotidiano dell'esistenza, anche nelle sue pieghe meno illuminate ed illuminanti. Scrive Larkin: "La critica moderna prospera sul difficile - o sullo spiegare il difficile, o sullo spiegare che ciò che sembra facile è in realtà difficile - e Hardy è semplice: nella sua opera vi sono pochi pensieri o riferimenti che richiedono delucidazioni, la sua lingua non è ambigua, i suoi temi sono facilmente comprensibili."
Prendiamo i versi di The Garden Seat (una delle sue liriche più celebri - la traduzione è di Eugenio Montale):

Its former green is blue and thin
And its once firm legs sink in and in;
Soon it will break down uaware
Soon it will break down unaware

At night when reddest flowers are black
Those who once sat thereon come back;
Quite a row of them sitting there
Quite a row of them sitting there.

With them the seat does not break down
Nor winter freeze them, nor floods drown,
For they are light as upper air,
They are light as upper air

Vecchia Panchina

[Il suo verde d'un tempo si logora, volge al blu.
Le sue solide gambe cedono sempre più.
Presto s'incurverà senz'avvedersene,
presto s'incurverà senz'avvedersene.

A notte, quando i più accesi fiori si fanno neri,
ritornano coloro che vi stettero a sedere;
e qui vengono in molti e vi si posano,
vengono in bella fila e si riposano.

E la panchina non sarà stroncata,
ne questi sentiranno gelo o acquate,
perché sono leggeri come l'aria
di lassù, perché sono fatti d'aria.]

Mai prosaico e poetico erano stati così vicini nella storia della poesia inglese. Come ebbe a scrivere Leavis (lo si è detto, uno dei critici che maggiormente influenzarono le idee del Movement): "He creates a style out of stylessness". Questo concetto, unito all'idea di un "soggetto" forte la cui riproduzione "viene realizzata guardando nel cuore di una cosa (per esempio, del vento, della pioggia)" è alla base di molta parte della poesia larkiniana.
Sta qui il vero canone della tradizione inglese per molti dei poeti del Movement, sta in quella semplicità contenuta all'interno di una versificazione scandita con la medesima regolarità che contraddistingue la fila immutabile di villette unifamiliari alla periferia di qualsiasi città inglese.


2. Philip Larkin: "il ritorno preavvisato nel cuore del normale"
(Testi in appendice)

The Whitsun Weddings [Le Nozze a Pentecoste]
High Windows [Finestre Alte]
Aubade [Aubade]

La vita di Philip Larkin fu un'esistenza per sottrazione. Come dichiarò in un'intervista "deprivation is for me what daffodils were for Wordsworth" [la privazione rappresenta per me ciò che le giunchiglie rappresentarono per Wordsworth]. Sottrazione e privazione.
Nacque a Coventry nel 1922 da una famiglia della media borghesia. Dopo avere frequentato la King Henry VII School si iscrisse all'Università di Oxford nel 1940 dove si laureò tre anni più tardi in letteratura inglese. Furono gli anni di una precocissima attività di narratore. Jill, il suo primo romanzo fu pubblicato nel 1946 seguito, a solo un anno di distanza, da A Girl in Winter (1947). Iniziò poi la stesura di un terzo romanzo che però non vide mai la luce. Da quell'anno in avanti, infatti, Philip Larkin avrebbe pubblicato solo poesia. La narrativa rimane come uno dei tanti enigmi nella vita del poeta di Coventry. Una specie di illuminazione che durò qualche anno sino a spegnersi per ragioni, con buona probabilità, ignote allo stesso Larkin. Iniziò la sua attività di bibliotecario, attività che avrebbe svolto per tutta l'esistenza. Fu dapprima a Leicester poi a Belfast e, dal 1955, lavorò presso la Biblioteca dell'Università di Hull. Dalla cittadina sulla costa orientale non si sarebbe più mosso. Vi morì nel dicembre del 1985. L'opera omnia di Philip Larkin non occupa certo un'intera libreria. Oltre ai due romanzi citati, infatti, Larkin pubblicò, a scadenza più o meno decennale, quattro raccolte di versi: The North Ship (1945), The Less Deceived (1955), The Whitsun Wedding (1964) e High Windows (1974). I Collected Poems curati da Anthony Thwaite nel 1988, comprendono tutte le poesie di Larkin (anche quelle poche scritte dopo il 1974 e mai pubblicate oltre ad una serie di tentativi giovanili rimasti nel cassetto). Fanno poco più di trecento pagine: anche questo elemento va preso in considerazione nell'analisi dell'opera larkiniana. Il poeta di Coventry amò molto il jazz (detestava il be bop - amava il New Orleans) e raccolse le recensioni pubblicate su diversi quotidiani in un volume dal titolo All What Jazz (1970). Se si aggiungono le prose, spesso d'occasione, raccolte in Required Writing. Miscellanous Pieces 1945-1982, la bibliografia è completa.


C'è una lirica di Seamus Heaney contenuta nella raccolta Seeing Things (1991) che rende perfettamente l'immagine di Larkin. Il poeta irlandese incontra l'ombra di quello inglese. Questa gli rivolge la parola e, dopo avere citato Dante, prosegue dicendo:

And not a thing has changed, as rush-hour buses

Bore the drained and laden through the city.
I might have been a wise king setting out
Under Christmas lights - except that

It felt more like the forewarned journey back
Into the heartland of the ordinary.
Still my old self. Ready to knock one back.

A nine-to-five man who had seen poetry.

[… e nulla era cambiato, ora di punta,

bus stracolmi di esausti e appesantiti.
Avrei potuto essere un re mago
Che parte sotto le luci di Natale -

Non fosse che sembrava più il ritorno
Preavvisato nel cuore del normale.
Ancora il mio vecchio io. Pronto per un goccio.

Uno che lavora dalle nove alle cinque
Che aveva visto la poesia.]

C'è molta parte della poetica larkiniana in questi versi di Heaney. C'è il ritorno "nel cuore del normale" che rappresenta, e lo si è detto poco sopra a proposito del Movement, lo scarto della poesia inglese del dopoguerra. C'è "il mio vecchio Io" - quell'Io con il quale Larkin inizia spesso le sue liriche, maschera che nasconde una coscienza travagliata e in formazione. C'è il paesaggio urbano e consueto e il desiderio, pur nella sua povertà di farvi parte. C'è un senso di appartenenza mancato "avrei potuto" - Larkin avrebbe potuto essere, avrebbe potuto fare, se… C'è quel distico conclusivo e fulminante. Il ritiro e la fuga nelle pieghe della quotidianità illuminata da scorci improvvisi di grandissimi versi; da quella che Douglas Dunn, celebre poeta scozzese, ebbe a definire come la "straziante purezza di Larkin".
C'è quel Larkin ritratto da Walcott con la fulminante definizione di The Master of the Ordinary: "The average face, the average voice, the average life - that is, the most of us lead, apart from fulm stars and dictators - had never been defined so precisely in English Poetry until Philip Larkin. He invented a muse: her name was Mediocrity." "Faccia media, voce media, vita media - quella che conduce la maggiore parte di noi, a parte le star del cinema o i dittatori - mai era stata meglio definita nella poesia inglese prima di Philip Larkin. Inventò una musa: il suo nome era Mediocrità."
La critica ha spesso trascurato di valutare attentamente l'opera narrativa di Larkin. Ma, se si considera North Ship, la prima raccolta di versi pubblicata nel 1945 come un esperimento di poesia in gran parte non riuscito, Larkin si propone ed aspira a diventare narratore. E lo fa raccontando al lettore un proprio e personalissimo "giovane Holden" inglese. La storia di Jill, il primo romanzo di Larkin, è largamente autobiografica e narra il primo semestre universitario ad Oxford della matricola John Kemp. Siamo nel 1940 e la guerra comincia a farsi sentire con i primi bombardamenti tedeschi. Il romanzo inizia con il viaggio di John dalla cittadina del Nord nella quale è nato verso Oxford. John porta con sé un bagaglio di scarsa autonomia e desiderio vitale compresso; i segni di un'adolescenza irrisolta e deficitaria. Deve dividere stanza e vita con un ragazzo, Cristopher Warner che ne incarna il perfetto opposto: scapigliato, superficiale, estroso ed eccessivo. I due cominciano una convivenza che per Kemp significa una continua altalena di attrazione/repulsione, ricerca di accettazione nel circolo delle amicizie di Warner e confronto con Whitebread che di Kemp rappresenta invece il perfetto alter ego, distillato di consapevolezza della propria condizione di inferiorità sociale e desiderio di ottuso riscatto. Kemp ha sensibilità in eccesso, intelligenza acuta ma manca completamente di capacità di agire, di incidere su un mondo che gli scivola davanti come l'acqua sul selciato delle strade di Oxford. Sino a quando un giorno, un po' per cercare di attirare l'attenzione di Warner, un po' per popolare quel suo solitario mondo di un qualche surrogato, inventa un personaggio femminile, una sorella, che risponde al nome di Jill. Ne scrive lettere, poi un diario, poi un lungo racconto. Ma accade l'inevitabile: Jill esiste davvero (si chiama Gillian ed è una cugina di un'amica di Warner) e sbuca improvvisa ed inattesa da una libreria del centro. Kemp vede i piani della realtà e della finzione rotolare l'uno dentro all'altro, sente il mondo sprofondare in una confusione ulteriore. All'improvviso giunge notizia che la cittadina natale di Kemp è stata bombardata. Compie un viaggio in treno per scoprire che la sua casa è rimasta, insieme a poche altre, intatta e che i genitori si sono rifugiati presso alcuni parenti. Kemp trova davanti a sé lo specchio del proprio mondo interiore: nulla è più come prima. Ora è più libero ma anche più solo. Tornato ad Oxford tenta la carta di un improbabile approccio che fallisce sino a quando, una sera, si ubriaca e bacia Jill/Gillian che fugge piangendo all'uscita di una festa di fine semestre. Il romanzo si chiude con Kemp ricoverato nell'infermeria dell'università dopo un ubriaco bagno in fontana che gli ha procurato un febbrone e una leggera forma di deliquio. I genitori del tanto caro e bravo ragazzo Kemp camminano con orgogliosa titubanza e deferenza lungo i corridoi dell'antica istituzione universitaria inglese. Vanno in visita ad un John Kemp che comincia a comprendere il proprio ruolo in questa esistenza.
La scrittura di Larkin, ha ventuno anni quando completa la stesura del romanzo, tocca i punti che saranno i cardini della sua poetica: la solitudine che lenta porta all'indifferenza, un desiderio di esperienza che per motivi diversi e spesso imperscrutabili fallisce la presa sulla realtà. Lo stile nitido, pulito, pronto a registrare le leggere ma decisive oscillazioni climatiche della vita interiore di John e del cielo di Oxford è già in buona misura quello del poeta di The Whitsun Weddings e di High Windows. Ci sono passaggi nei quali le immagini che l'occhio di Kemp registra entrano ed escono, come davvero sa fare solo la grande poesia tra il dentro e il fuori delle cose, tra il dentro e il fuori dell'interiorità. Il ritmo della prosa lascia dunque spazio ad uno scivolamento verso i confini della sintassi poetica: "E all'improvviso gli sembrò che non vi fosse più nulla da fare, nulla tranne la certezza che a questo giorno ne sarebbe seguito un altro ugualmente vuoto, solo il delicato picchiettare della pioggia sulle pietre antiche." (pag.123)
Larkin impiega già con buona perizia registri stilistici diversi tra loro. La polifonia del colorito linguaggio studentesco è contrappuntata dall'accento del nord che ritorna nel lungo flashback centrale che racconta degli anni pre-universitari di Kemp nella cittadina natale. Si era detto di un "giovane Holden". E lo è: un Holden larkiniano, però. Un Holden che in luogo dei larghi spazi della protesta e della volontà di affermazione tipicamente americani sostituisce il cielo grigio e gonfio di nuvole di un'Inghilterra che sta per uscire in ginocchio da anni di recessione e dalla guerra. E sta qui forse il senso profondo del libro e la sua attualità: nel racconto di un adolescenza che trascolora verso una maturità senza una necessaria implicazione di miglioramento o di aumento di grado. Ad un mutato livello di profondità di consapevolezza non necessariamente corrisponde una nuova e luminosa felicità. Un'accettazione, virile e disillusa: questo sì. L'esperienza, comune a molti in questi tempi, di un disorientamento profondo può trovare in questo libro, per molti versi cupo e irrisolto, uno spazio angusto come una stanza povera di cose. È lo spazio angusto che ha la musica di ciò che accade. E non c'è trucco che possa colorare il mutare delle cose nel tempo. Come quando Kemp realizza che insieme alla distruzione della propria città corrisponde la fine di qualcosa: "Non significava più nulla per lui, il paese era distrutto: gli parve un atto simbolico, come se la sua infanzia fosse stata cancellata. L'idea lo eccitava. Era come se gli fosse stato detto: tutto il passato è stato cancellato: tutta la sofferenza legata alla città, alla tua infanzia, è stata spazzata via. Ora c'è una nuova possibilità: non sei più governato da quanto è accaduto" (p.219). Con tutto il sapore di disillusione e contemporaneamente di profonda forza che quella nuova possibilità porta con sé.
In quegli anni Larkin pubblica, come si è detto, The North Ship. È un libro esemplificativo di questo abbandono dell'illusione venata di giovanile ingenuità. Larkin, con il suo consueto understatement, la butterà sull'ironia raccontando come in quegli anni avesse letto troppo Yeats, di essere rimasto come incantato dalla versificazione dolce, cantilenante e sensuale del vate d'Irlanda. Un talento come quello, dirà Larkin, ha rovinato scrittori molto migliori di me [I fairness to myself it must be admitted that it is a particularly potent music, pervasive as garlic, and has ruined many a better talent - questo nella prefazione alla ristampa di the North Ship]. Si tratta, come detto, di un ultimo saluto all'illusione di una vita, per così dire "musicale", della presa di coscienza di una mancanza: Larkin non possiede un registro stilistico aulico; deve ricorrere a qualcosa di più consueto, deve spostare l'occhio ad altezza d'uomo. Deve, in poche parole, girare in bianco e nero e dimenticare, con buona pace, il colore.
Suona davvero strano sentire in Larkin versi come questi (da I put my mouth in The North Ship):

I put my mouth
Close to running water:
Flow north, flow south,
It will not matter
It is not love you will find

[Avvicino la bocca
all'acqua che scorre:
Verso Nord, Verso Sud,
Non ha importanza
Non è l'amore che troverai]

Gli ci vorranno quasi dieci anni ma gli esiti saranno sorprendenti. Con The Less Deceived prima e the The Whitsun Wedding poi, Larkin segna il proprio tempo.
Un'analisi ravvicinata della lunga lirica che dà il titolo alla raccolta The Whitsun Wedding [Le Nozze a Pentecoste] ci permette di avvicinare in maniera diretta la poetica nei suoi elementi specifici. La domenica di Pentecoste è in Inghilterra il giorno dedicato per tradizione alla celebrazione delle nozze. L'Io narrante compie un viaggio in treno verso Londra. Osserva dal finestrino quanto accade e a poco a poco, dal clamore che proviene dalle stazioni in cui il treno fa sosta, si rende conto che quello è il giorno di Pentecoste, che i gruppi di parenti festanti imbottiti di pranzi nuziali stanno festeggiando i lieti eventi di diverse esistenze. Il poemetto si compone di otto stanze, ciascuna di dieci versi. La lettura dell'originale inglese svela a poco a poco la fitta trama formale che regge la versificazione. Prima cosa la rima: tutto il poema è in rima. Ogni stanza segue un andamento tale che ai quattro versi iniziali (rimati secondo lo schema abab) segue una più distesa e piana modalità cde cde. Occorre leggere il testo più volte per sentire l'evidenza fonetica della rima. È come se Larkin avesse voluto utilizzare la rima come una specie di basso continuo, un robusto accompagnamento d'appoggio che non infici però la valenza principale dell'andamento melodico. La versificazione infatti deborda spesso oltre il verso, inseguendo enjambement che legano la frase oltre il limite del verso, per poi spezzarlo, improvvisamente con un fitto uso dei due punti e del punto e virgola.
Un'ulteriore curiosità formale: il secondo verso di ciascuna stanza è composto da un minimo di due ad un massimo di quattro parole. Si parte con il primo verso e poi si rimane sospesi, balbettanti, su quel secondo verso che rallenta la corsa, come di stazione in stazione. Tutto questo per dire come la lezione del Movement fosse ben presente nella scrittura larkiniana. Come alcuni dei "precetti" espressi da critici come Conquest e Davie facessero poi parte della scrittura "fisica" e concreta dei poeti che, volenti o nolenti, appartennero al Movimento.
Anche la metrica, e l'aspetto prosodico più in generale sembrano riflettere quella dignità pudica, quell'eleganza non troppo esibita che veniva richiesta alla English Line di cui abbiamo detto. Siamo mille e miglia lontani dalla tradizione sillabica ritmata in un'incalzante pentapodia giambica (di derivazione anglosassone) che segnerà il modo di fare versi, per esempio, di Tony Harrison. O che segnerà, ma lo vedremo tra poco in Thom Gunn, il passaggio da una scrittura in rima (alla Larkin) ad una ricerca sillabica più concreta fisica e corporea.
Le prime due stanze sono un vero e proprio documentario in bianco e nero, ricordano certe pagine della narrativa di Larkin. Descrive qui il poeta più che "descriversi" rimanendo in una posizione neutra. Questa neutralità è un'altra delle caratteristiche della scrittura di Larkin. La neutralità di chi osserva da una finestra, una neutralità che assomiglia all'espressione di chi sa già come vanno le cose e non è disposto a lasciarsi incantare da nessuna quotidiana meraviglia. Gli ci vogliono tre stanze prima di alzare lo sguardo dal libro che sta leggendo. La descrizione di quanto osservato ha qualcosa di caricaturale. Larkin qui sta perdendo parte della sua neutralità: è la reazione tipica di chi cerca di convincersi di qualcosa. L'Io del poeta non è forse così ben definito nella propria asciuttezza come tenta di farci credere. I "padri dalle lunghe cinture sotto i vestiti" - "madri chiassose e grasse" - "gioielleria fasulla". Viene da chiedersi: davvero non c'è rimasto più nulla di "vero" in nessun tipo di sentimento?
Poi la chiusa: il viaggio del treno ha una direzione molto chiara quello dei versi si inerpica in una metafora piuttosto sconcertante:

… We slowed again,
And as the tightened brakes took hold, there swelled
A sense of falling, like an arrow shower
Sent out of sight, somewhere becoming rain.

[… Rallentammo ancora,
E mentre i freni tirati facevano presa, là si gonfiò
Un senso di caduta, come un acquazzone di frecce
Tirate fuor di vista, destinate altrove a farsi pioggia.]

Le esistenze sfiorate appena con lo sguardo sono già lontane e quello che rimane è solamente "a sense of falling". Forse è la caduta di un Io che tira i freni, di un Io che non può inseguire la vista oltre un certo limite. La pioggia sembra cadere come nel deserto di Eliot fuori dalla portata di chi scrive. Troppo fuori. C'è un senso di morte terrificante nella poesia di Larkin e anche Le Nozze a Pentecoste non fanno eccezione. Un senso di morte temuto con agghiacciante terrore perché nasconde il senso di una vita non vissuta, di una pioggia mai raggiunta.
La disillusione larkiniana di cui si è detto nasconde, a nostro avviso, una contraddizione non risolta. Una contraddizione che è troppo umana per essere espressa sino in fondo. L'Io che apre la lirica e che si pone in una posizione neutra e quasi inattaccabile per tutto il testo sembra essere ingabbiato in una rigidità che solo in parte è voluta. C'è una forzata rimozione del piacere che occhieggia qua e là in tutta l'opera del poeta e che squarcia l'apparente tranquillità distesa di molti dei suoi versi. Scrivere versi de essere un "piacere" e la lettura anch'essa deve provocare piacere - scrive Larkin in una delle sue rare definizioni personali di poetica (ma il "piacere" ha qualcosa di sepolcrale e putrescente).
L'apertura di High Windows - sconcertante per il lessico impiegato che fece sobbalzare molti benpensanti sulle loro comode poltrone davanti al camino (ma siamo in pieni anni '70 e qualche inibizione è andata persa con gli anni):

When I see a couple of kids
And guess he's fuckin her and she's
Taking pills or waring a diaphgram,
I know this is paradise

Everyone old has dreamed of all their lives.

[Quando vedo una coppia di giovani
E m'immagino che lui se la scopa e che lei
Prende la pillola o porta il diaframma,
Sento che è quello il paradiso

Che ogni vecchio ha sognato tutta la vita.]

Ancora un Io ad aprire la lirica (When I see a couple of kids). Ancora un atto percettivo di osservazione, da lontano, da fuori, la profonda eco di un rimpianto. Se dieci anni prima l'Io di Larkin poteva permettersi di non cedere e caricare sull'esterno le proprie frustrazioni, ora spazio e tempo sembrano negarglielo. Poi la chiusa che mette tutto a tacere. Sono fra i versi più belli di tutta la poesia di Larkin:

Rather than words come the thought of high windows:
The sun-comprehending glass,
And beyond it, the deep blue air, that shows
Nothing, and is nowhere, and is endless.

[Invece delle parole mi sovviene il pensiero di finestre alte:
Di vetrate che contengono il sole,
E, al di là di quelle, l'aria d'un profondo azzurro che mostra
Il nulla, e non è da nessuna parte, ed è infinita.]

La "musa mediocre" di Larkin, come l'ha definita Tomlinson, batte con un colpo d'ali verso una porzione di cielo insperata e allo stesso tempo irraggiungibile. L'Io di Larkin che avevamo incontrato freddo e ironico sul treno verso Londra si polverizza in un nulla d'aria che non è in nessun luogo ed è infinito. La pulsione di morte è qui interpretata nella sua accezione più profonda (Triebe è il termine tedesco utilizzato da Freud). Non tanto come istinto di morte, di darsi la morte, quanto come desiderio di nulla, di assenza, di polverizzazione dell'Io. La poetica dell'Io larkiniano è tutta qui.
Certo si può parlare come hanno fatto molti critici di "pessimismo" di "negazione della religione" (ci sono liriche famose su questo si veda Church Going). Larkin è tutto questo ma è anche qualcosa di più: la dolorosa e profondissima coscienza di qualcosa che non può avere; il sentire, con triste meraviglia, che l'agognato distacco dell'Io non è stato ottenuto anche tenendo gli occhi bassi, anche cercando di essere il più vicino possibile alla musica di ciò che accade.
Nell'ultima, secondo quanto afferma lo stesso Larkin, tra le poesie ad essere scritte degne di tale nome Aubade è, in tal senso, esemplificativa al punto da non richiedere commento alcuno:

Slowly light strenghtens, and the room takes shape.
It stands plain as a wardrobe, what we know,
Have always known, know that we can't escape,
Yet can't accept. One side will have to go.

Lentamente la luce si rafforza, la stanza prende forma.
Se ne sta ovvia come un guardaroba, ciò che sappiamo,
Abbiamo sempre saputo, sappiamo che non si può evitare,
Eppure non possiamo accettare. Un lato se ne dovrà andare.

Il ritorno preavvisato nel cuore del normale sembra dunque avere qualcosa di inaccettabile.


3. Thom Gunn: tra Norma ed Energia
(Testi in Appendice)

On the Move [In moto]
Considering the Snail [Considerando la lumaca]
For a Birthday [Per un compleanno]

Thom Gunn è nato nel 1929 a Gravensend ed ha passato buona parte della propria giovinezza ad Hampstead. Dopo due anni di servizio militare, nel 1950, si trasferisce a Cambridge dove entra in contatto con gli ambienti culturali e universitari. Segue le lezioni di Leavis, scopre e legge Donne e Shakespeare. Nel 1954 compie il suo primo viaggio in California con una borsa di studio che gli ha permesso di fermarsi presso la Stanford University. Dopo una breve permanenza in Texas si trasferisce definitivamente a San Francisco (Gunn ha dichiarato apertamente la propria omosessualità ed è questa forse una delle ragioni che l'hanno spinto a cambiare paese e a trasferirsi negli Stati Uniti). Insegna a Berkeley dal 1958 al 1966 per poi dedicarsi interamente alla scrittura. La prima raccolta di versi The Fighting Terms viene composta per la maggiore parte durante gli anni passati a Cambridge. Tra le altre raccolte più importanti ricordiamo The Sense of Movement (le liriche antologizzate da Conquest in The New Lines sono contenute in questo secondo volume), My Sad Captains (1961) - che segnano il passaggio ad una versificazione "sillabica" e ad una ricerca formale che raggiungerà il verso libero con The Touch (1967). Fra le opere più interessanti dell'ultimo periodo ricordiamo la serie di poesie dolorosamente dedicate all'AIDS e raccolte in The Man With Night Sweats (1992). Nel 1993 la Faber and Faber ha dato alle stampo i Collected Poems.


L'inclusione di Gunn nell'antologia di Conquest fu il segnale evidente che il Movement già conteneva in sé elementi potenzialmente disgreganti. La fisicità, la corporeità, l'assenza di uno sguardo neutrale sulle cose e sui sentimenti trapelano evidenti sin dalle prime liriche di Gunn (la prima opera esce nel 1954 quando Gunn ha solo venticinque anni, mentre i testi antologizzati da Conquest risalgono ad un paio di anni dopo). Quella lacerazione interiore che abbiamo visto fare capolino dall'ultima produzione larkiniana strappa il velo dell'omertà e della contenuta dignità. Certo, il Gunn delle prime liriche è ancora "metafisico" nell'uso abile delle versificazione tradizionale, nella capacità di contenere e trattenere, ma le crepe nella diga sono evidenti: il cuore e l'esperienza di Gunn pulsano ad un ritmo superiore e davvero non li si può tenere a freno. In questo senso si può affermare che Gunn apre la strada a molta della poesia post-movement che sarà oggetto della seconda lezione. Sarà come tornare con le mani nel fango del mito e della storia (Hughes e Hill in particolare modo).
Lo scarto che avviene è quello verso una dimensione esistenziale espressa in maniera più diretta. Se grande parte della poesia degli anni cinquanta aveva posto il poeta, la poesia, come primo referente del rapporto con le cose e con il mondo esterno, Gunn riporta l'uomo al centro dell'osservazione. Come scrive Agostino Lombardo nell'introduzione alla traduzione de I Miei Tristi Capitani ed Altre Poesie: "Pur condividendo, e anzi lucidamente interpretando, lo stato d'animo del Nuovo Movimento - egli si muove su un terreno assai più scoperto, e rischioso, ma per ciò stesso più fecondo, che non quello della maggior parte dei suoi contemporanei. Al tono neutro invocato da Donald Davie, Gunn sostituisce un tono che accompagna il distacco, il controllo della forma ad un intensa partecipazione sentimentale".
La dicotomia è quella espressa in una poesia di quegli anni To Ivor Winters, 1955 (Ivor Winters è stato uno dei maggiori critici americani); da una parte sta la Norma - "il pensiero e il discorso", dall'altra c'è la "disperazione" "l'infondata tristezza dell'aria" che però genera Energia. Il richiamo di Gunn (e in questo ci ha ricordato certo Heaney, ad esempio) muove verso una poesia che sia l'equilibrio, il punto di incontro di queste due forze.
Seguiamo ancora Lombardo: "Il maggior pericolo, in cui possono incorrere i poeti del Nuovo Movimento è quello che la Norma soffochi l'Energia e che una attività intesa, come scrive Melchiori - a sostenere (sia pure attraverso forme ironiche e apparenti negazioni ) la necessità di sgomberare il campo da ogni forma di falsa ideologia o di fumoso misticismo - finisca, per troppa cautela, o per troppo pudore, col condurre a una poesia d'evasione, o a una poesia della poesia." Rischio che di certo non corse un poeta quale Larkin, ma che fu ostacolo insuperabile per molti altri poeti di quegli anni.
L'attacco di On the Move è estremamente esemplificativo di tutto questo:

The blue jay scuffling in the bushes follows
Some hidden purpose, and the gust of birds
That spurts across the field, the wheeling swallows,
Have nested in the trees and undergrowth.
Seeking their istinct, or their poise, or both,
One moves with uncertain violence
Under the dust thrown by a baffled sense
Or the dull thunder of approximate words.

[La ghiandaia azzurra in rissa tra i cespugli segue
Qualche proposito nascosto, e la raffica d'uccelli
Che scatta sopra il campo, le roteanti rondini,
hanno fatto il nido sopra gli alberi e nel sottobosco
Chi insegue il loro istinto, o un equilibrio, o entrambi,
si muove con una violenza incerta
sotto la polvere sollevata da un senso confuso
o il sordo boato di parole approssimate.]

Come dire: chi si affida all'istinto rischia la confusione di una violenza incerta. La diga del Movement comincia ad avvertire il rombo sordo dell'istinto che torna a scompigliare il sottobosco. Lo sguardo che Larkin aveva levato sulla cose corrispondeva ad un piano dove della realtà veniva tagliato (salvo in rare eccezioni) quanto stava sotto o sopra un certo limite. Ora si torna sotto ed è difficile non sentire in questo richiamo alla rapace ghiandaia l'eco di certi versi di Hughes. Ma quella "violenza incerta" è ancora musicalmente raffinata, elegante e preziosa, collata in ottave rimate. Gunn ha amato visceralmente la poesia di Donne e di Keats e dimostra di averne appreso la maestria nell'uso del preziosismo formale.
Poi lo scarto. Gunn osserva affascinato l'arrivo dei "Boys" sulle motociclette, coglie l'insensatezza di quel loro muoversi a vuoto ma ne rimane come folgorato. Avverte l'inadeguatezza di quella ribellione, la mancanza di una sufficiente definizione ma evita di assumere atteggiamenti denigratori quali avevamo visto, ad esempio in Larkin. Il rischio che corre Gunn è esattamente all'opposto di quello corso di Larkin. Il pericolo è quello di un'eccessiva confidenza priva di critica e dunque di un sentimentalismo senza rete. Eppure in quei giovani ribelli (dei quali la società ha tanta paura - in letteratura sono gli anni degli angry young men, del Look Back in Anger di John Osborne che mette in scena la figura del proletario frustrato ed impotente) c'è movimento. Ed è tutto quanto, per il momento, interessa il giovane Gunn:

A minute holds them, who have come to go:
The self-defined, astride the created will
They burst away; the towns they travel through
Are home for neither bird nor holiness,
For birds and saints complete their purpose.
At worst, one is in motion; and at best,
Reaching non absolute, in which to rest,
One is always nearer by not keeping still.

[Li contiene un istante, essi, venuti per andare:
auto-definiti, a cavalcioni sulla volontà creata
esplodono via; le città che attraversano
né per uccelli sono dimora né per santità,
ché uccelli e santi attuano i loro propositi.
Al peggio, si è in movimento; al meglio,
non raggiungendo un assoluto in cui fermarsi,
gli si è sempre più vicini non restando immoti.]

L'altro rischio nel quale spesso indugia la poesia di Gunn è quella di un certo estetismo fine a se stesso. Corcoran, poeta critico di grande acume, riassume questa riflessione nel termine di "posa". Il pericolo è quello che ad una mancanza di direzione segua un atteggiamento sterile, un posa, e questo lo aggiungiamo noi pericolosamente vicina, alla tanto temuta stasi. Se Elvis Presley nella lirica omonima si atteggi o meno non è dato sapere: il confine tra narcisismo, posa e ribellione si fa spesso, dunque, estremamente labile.
Ma il Gunn più convincente, e lo si ripete, appare quello capace di penetrare la profondità dell'Energia. Accade in For a Birthday, per esempio, dalla primissima raccolta Fighting Terms:

I have reached a time when word no longer help:
Instead of guiding me across the moors
Strong landmarks in the uncertain out-of-doors,
Or like dependable friars on the Alp
Saving with wisdom and with brandy kegs
They are gravel-stones, or tiny dogs which yelp
Biting my trousers, running round my legs.

[Son giunto a un punto dove le parole più non servono:
invece di guidarmi tra brughiere solide pietre miliari nell'incerto aperto,
o come fidi frati sulle Alpi
con saggezza a soccorrere e barilotti di cognac,
sono ghiaia, o cagnolini guaitanti
a mordermi i calzoni, a girarmi attorno alle gambe.]

Il luogo "dove le parole più non servono" indica in Gunn anche la ricerca di una nuova e diversa definizione formale. Come scrive Oliva: "La poesia di Gunn è disposta a riconoscere l'esistenza di regioni buie dove il tatto vale più del logos; di un tenebroso - prima della verità - dove nascono le sorgenti del discorso. Fa parte della storia il passaggio che avviene nella terza raccolta My Sad Captains da una versificazione per così dire "tradizionale" ad una scansione sillabica "nuova" (si veda a tale proposito Considering the Snail con la sua scansione regolare in sette sillabe sino al verso libero di The Touch, la raccolta del 1967.
La poesia di Gunn sembra dunque inseguire, anche formalmente, una progressiva liberazione da certe costrizioni che avevano segnato il Movement.
Thom Gunn va dunque a pieno titolo considerato come un possibile anello di congiunzione tra la poesia degli anni cinquanta e alla lunga serie di "reazioni" post-movement che segneranno tutti gli anni '60.


Bibliografia
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- Donald Davie, The Purity of Diction in English Verse Carcanet Press, Manchester 1994 (ristampa dell'edizione del 1952)
- Donald Davie, Thomas Hardy and British Poetry, New York 1972
- John Powell Ward, The English Line - Poetry of the Unpoetic from Wordsworth to Larkin
- Gary Day e Brian Docherty (a cura di), British Poetry from 1950s to the 1990s, Macmillan Press Ltd., London 1997
- Neil Corocran, English Poetry since 1940, Longman Literature in English Series 1993 (in parricolare tutta la Parte III)
- Anthony Thwaite, 20th English Poetry - An introduction, Heinemann, London 1978
- Ne Storia della Letteratura Inglese, UTET, Milano 1991
- Gilberto Sacerdoti, Thomas Hardy e la Poesia del Novecento
- Renzo Crivelli, La Poesia del Dopoguerra
- Giorgio Melchiori, I Funamboli - Il manierismo nella letteratura inglese da Joyce ai giovani arrabbiati, Einaudi, Torino 1963
- Cyril Connolly, I Nemici dei Giovani Talenti, Sellerio, Palermo 1994
- Roberto Sanesi (a cura di) Poeti Inglesi del '900, Bompiani, Milano 1960
- Dylan Thomas, Poesie - Introduzione di Roberto Sanesi, Guanda, Parma 1962
- W.H. Auden, Poesie- Introduzione di Carlo Izzo, Guanda, Parma 1961
- W.H. Auden Poesie - Introduzione di Aurora Ciliberti, Mondadori, Milano 1981
- Thomas Hardy, Poesie - Introduzione di G Singh con una prefazione di Eugenio Montale, Guanda, Parma 1968
- A cura di Carlo Izzo, Poesia Inglese del '900, Guanda, Parma 1967
- Kingsely Amis, The Amis Collection - Selected Non-fiction 1954-1990, Penguin Books, London 1990
- Thom Gunn, Collected Poems, Faber and Faber, London 1993
- Thom Gunn, I miei Tristi Capitani e altre Poesie- Prefazione di Agostino Lombardo, traduzione di Camillo Pennati, Mondadori, Milano 1968
- Philip Larkin, Collected Poems - Edited with an Introduction by Anthony Thwaite, Faber and Faber, London 1988
- Philip Larkin, Fading - poesie scelte 1950-1980 - a cura di Marco Fazzini e con un'Introduzione di Douglas Dunn, Stamperia dell'Arancio, Ascoli Piceno 1994
- Philip Larkin, Required Writing- Miscellanous Pieces 1955-1982, Faber and Faber, London 1983
- Andrew Motion, Philip Larkin, Routledge, London 1982
- Terry Whalen, Philip Larkin and English Poetry, MacMillan Press Ltd., London 1986
- Dale Salwak, Philip Larkin - The Man and His Work, London 1989
- Derek Walcott, The Master of the Ordinary (recensione dei Collected Poems di Larkin in New York Review of Books 1/6/89
- Seamus Heaney, Englands of the Mind in Preoccupations - Selected Prose 1968-1978 - saggio sulla poesia Hughes, Hill e Larkin - Faber and Faber, London 1980
- Seamus Heaney, The Main of Light in The Governement of the Tongue Faber and Faber, London 1988

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