if man is five and the devil is six

then god is seven, god is seven urla Francis Black alla folla in delirio sotto le imperturbabibili mura del castello estense di Ferrara. Quattro allegri quarantenni sembrano divertirsi parecchio a suonare pezzi che continuano a stupire per potenza, repentini mutamenti di ritmica e dinamica, testi stralunati. Insomma, la mia prima volta a un concerto dei Pixies: davvero complimenti. Anzi, le sfumature che Black Francis riesce a tirare fuori dalla voce, il basso pulsante di Kim Deal, le svisate di Santiago e la percussione senza sosta di Lovering suonano quasi meglio dal vivo che nella fredda lettura al laser del cd. C'è la consueta strapotenza del "vivo" legata all'esperienza del concerto, l'essere dentro alla moltitudine, perdersi dell'individualità tra gente che salta e si sbraccia, persone con gli occhi chiusi che dondolano la testa seguendo il ritmo. Un impasto di odori acri e acidi, bicchieri di plastica che scricchiolano sotto i piedi, l'acciottolato irregolare della piazza, i colori delle magliette, i cellulari e le macchine fotografiche che restituiscono anticipazioni di youtube, colori saturi, macchie sbavate di colori in milioni di pixel. Quando sono qui penso sempre al castello, alle acque quiete del suo fossato, ai mattoni impilati uno dopo l'altro da maestranze medievali, il filo a piombo di un qualche architetto con un libro di vitruvio sotto il braccio. Penso al quadrivio degli angeli con palazzo diamanti, penso alla lapide in via mazzini nel racconto di bassani. Penso sempre a queste cose e a questa curiosa impermanenza che va a sigillarsi in onde invisibili, a frangersi in milioni di onde invisibili, dispersa in infinità di armonici, ottave raddoppiate, intervalli di terza, di quinta. Penso. Penso che penso troppo e è esattamente per questo che resto un cinque mentre quel diavolo di Black è un sei e il dio del castello e della musica un sette. Sette. God is seven.

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