Jo Shapcott

Tom e Jerry Visitano l’Inghilterra



Accidenti!, ho pensato. Un’opportunità
di visitare l’Inghilterra e, ragazzi!, qui,
dal niente, una voce per raccontarlo. Lettore,
sognai di tornare a dirti di come marciai
attorno alla torre di Londra vestito come un beefeater,
di come agitai l’ascia davanti a Jerry, gli diedi la caccia
sin dentro la Bloody Tower, le zampe posteriori
che ruotavano come un mulino in mezzo a un fortunale
mentre i corvi svolazzavano sulle nostre teste.
La sentiresti tutta la storia: tè con la Regina
a Buckingham Palace e io che dissemino
dappertutto i sandwich al cetriolo appena vedo
Jerry accanto al vassoio d’argento. Non resisterei
alla fantastica scenetta: la povera regina con la boccuccia
schiusa in un’espressione di shock urlante, la corona
tutta storta mentre si afferra al trono
con le vesti che le salgono sopra le ginocchia e Jerry
laggiù a ghignare accanto al poggiapiedi.
A quell’ora sarei già diventato uno zigzag a soffietto
con una tazza di porcellana ficcata in faccia
e una teiera decorata a fiori su per la testa, così in fondo
che le cervella formerebbero un beccuccio e un manico
prima che si crepasse e cadesse per terra.

Con questa nuova voce mica riesco a spiegare
l’estasi in tutto il corpo quanto ti lanci
in un tale casino, quando ti apri
a qualunque forma e ti riesce di buttare fuori
stelline di dolore così che tutti le possano vedere.
Ma, lettore, la visita non è andata così.
Sono finito in una poesia e la cosa mi ha creato disagio.
I gatti preferiscono scivolare clandestini e scontrosi
al buio, prediligiamo il mistero,
la camminata furtiva. E questo vale pure per me
con la mia stupida faccia umana che si apre
solo in due o tre espressioni sciocche:
astuzia, sorpresa e forse rabbia.
E Jerry mica l’ho trovato.
“Dov’è il topo?” schizzai
sopra a virgole e due punti duri come diamanti, cercandolo.
“Dov’è il topo?” Sbattei a muso duro in una domanda –
e finii con la fronte a forma
di punto interrogativo per ore. Roba da paura:
di solito mi ci vogliono pochi secondi per tornare a posto.
E così, questa volta, esitai prima di lanciarmi
giù per la scala accidentata di fine verso.
Sono finito sul didietro e mi avreste visto là in fondo,
sedere in alto, pieno di schegge e il naso per terra
a tirare su alla ricerca di tracce di olezzo di topo.
Lettore, è stato il mio primo film tragico:
il topo non l’ho mica trovato.

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